Nel mondo a soffrire di epilessia ci sono 65 milioni di persone, di cui circa 500 mila solo in Italia, dove ogni anno si diagnosticano 36 mila nuovi casi: 20-25 mila con crisi isolate e 12-18 mila con crisi sintomatiche acute. Di questi, sono 90 mila i bambini fino a 15 anni che ne soffrono e che hanno anche problemi sociali dettati da stereotipi che rendono difficile la vita di tutti i giorni. Le cause di questa patologia neurologica possono essere diverse e nel 30% dei casi la malattia è farmacoresistente. È questa la fotografia della malattia in occasione della Giornata mondiale contro l’epilessia che si celebra il 10 febbraio, giorno in cui i monumenti delle città si illuminano di viola, riconosciuto come il colore dell’epilessia per l’associazione con la lavanda, fiore che ricorda la solitudine e l’emarginazione che spesso i pazienti vivono. Anche perché si tratta di una malattia di cui si parla ancora molto poco, circondata da un muro di pregiudizi e di ignoranza, che spesso spinge gli stessi pazienti a nascondere la malattia e a sviluppare un disagio sociale e psichico
La parola “epilessia” (dal greco eπιλαµβaνeιν, essere colti di sorpresa) indica una condizione cronica determinata da una scarica elettrica improvvisa dei neuroni, le cellule nervose della corteccia cerebrale, dotate di trasmissione elettro-chimica degli impulsi. «Una delle criticità più rilevanti è la mancanza di preparazione degli insegnanti e degli operatori scolastici, quindi la paura per il possibile manifestarsi di crisi durante l’orario scolastico o l’incapacità di fronteggiarle – ha detto Giuseppe Zaccaria, presidente dell’Associazione Fuori dall’Ombra Insieme per l’Epilessia – da qui si innesca un circuito negativo per cui le famiglie tendono a tacere per evitare discriminazioni, con conseguenze anche rischiose per la salute dei bambini. Inoltre, ad oggi nessuna legge obbliga gli insegnanti a somministrare i farmaci a scuola». Ma non sono solo i bambini le vittime dell’emarginazione. «Anche per gli adulti non è semplice perché nel mondo del lavoro tuttora c’è una scarsa conoscenza del problema, soprattutto in ambito privato – ha evidenziato Zaccaria – si innesca dunque il solito circuito negativo: nel caso in cui si comunica la malattia, si rischia di non ottenere il lavoro o di essere considerati lavoratori ‘particolari’ e ciò porta a tacere e negare il proprio problema, contribuendo al processo di separazione o di non piena integrazione che poi ha riverberi anche psicologici sulla personalità di chi è affetto da epilessia».
Se da una parte, dunque, è ancora complesso avere una vita sociale con l’epilessia, dall’altro, la ricerca scientifica offre notizie positive: una innovativa terapia anti-neuroinfiammatoria (un ultra-microcomposito composto da palmitoiletanolamide e luteolina) promette, a seconda dei casi, di ritardare la comparsa della crisi epilettica o di supportare l’azione della terapia farmacologica tradizionale con la possibilità, per il futuro, di ridurre il dosaggio dei farmaci antiepilettici e quindi dei suoi effetti collaterali.