Arrivano a piedi, dopo aver camminato per ore, con le proprie gambe, trasportate su una brandina di ferro o in spalla a parenti o amici. Altre giungono in macchina, sdraiate sui sedili posteriori abbassati, dopo viaggi di diverse ore. Sono le donne che si presentano ogni giorno per un parto di emergenza nei nostri ospedali di tutto il mondo, con la propria vita e quella del loro bambino attaccate a un filo.
Ogni due minuti nel mondo una équipe di Medici Senza Frontiere aiuta una donna a far nascere un bambino, per un totale di 309.500 parti assistiti (dati 2018). Per queste donne e i loro figli, abbiamo lanciato la campagna di raccolta fondi “Nati in emergenza”: dal 16 febbraio al 7 marzo si possono donare 2 euro con SMS da rete mobile, 5 o 10 euro con chiamata da rete fissa al numero 45596, oppure online sul sito www.msf.it/natiemergenza. «Vediamo donne che arrivano per un parto di emergenza senza mai aver fatto un’ecografia durante tutta la gravidanza. Non sappiamo se il bambino sia vivo o meno, in che posizione si trovi, e nemmeno della possibile presenza di gemelli. Abbiamo pochi minuti per raccogliere tutte le informazioni e capire cosa fare» dichiara Giorgia Sciotti, ginecologa di MSF, rientrata da qualche settimana dalla sua seconda missione in Afghanistan.
I fondi raccolti con la campagna andranno a finanziare sei progetti di salute materno-infantile in Afghanistan, Yemen, Iraq, Libano, Repubblica Centrafricana e sull’isola di Lesbo.
- L’ospedale di Khost in Afghanistan, che con 2.000 bambini nati ogni mese è il più prolifico dei centri di MSF,
- L’ospedale di Castor, a Bangui, in Repubblica Centrafricana, uno dei paesi con la mortalità infantile più alta,
- L’ospedale di Mocha in Yemen, costruito nel 2018 vicino alla linea del fronte per curare feriti di guerra e assistere i parti in emergenza;
- Il reparto di maternità di Mosul Ovest in Iraq, aperta nel 2017 per far fronte alla fuga di molti medici e paramedici;
- Il centro di salute materno-infantile nel campo rifugiati di Shatila in Libano, dove siriani, palestinesi, libanesi e altre comunità vivono in condizioni drammatiche;
- La clinica pediatrica fuori dal campo per migranti e rifugiati di Moria, sull’isola di Lesbo, dove donne e bambini vivono in uno stato di emergenza cronica e in un ciclo continuo di sofferenza umana.