Iqbal Masih aveva soli 12 anni quando fu ucciso con una raffica di colpi di mitra perché si era ribellato. Perché aveva denunciato pubblicamente il dramma di migliaia di bambini che come lui erano ridotti in schiavitù. Era il 16 aprile 1995 ed era la domenica di Pasqua. Iqbal era in bici e stava andando a messa insieme ai due cugini, quando fu ammazzato per il suo attivismo contro quella che è stata definita la “mafia dei tappeti”, uomini senza scrupoli che avevano deciso di uccide il bambini per il suo attivismo e per aver sollevato l’attenzione su un problema drammatico in Pakistam come quello dei minori ridotti in schiavitù.
Iqbal, infatti, era nato nel 1983 a Muridke nel Punjab, da una famiglia poverissima, che si si era indebitata per pagare il matrimonio del primogenito costringendo il piccolo Iqbal a lavorare in una fabbrica di mattoni. P all’età di 5 anni il bambino fu venduto per 600 rupie (più o meno 12 dollari americani) ad un fabbricante di tappeti che lo ridusse in schiavitù. Ma quella di Iqbal è una storia tremendamente simile a quelli di altri bambini e bambine pakistane, ridotti in schiavitù per integrare il magro bilancio familiare o per saldare dei debiti. Picchiato ed incatenato al suo telaio, Iqbal lavorava per più di dodici ore al giorno per un’unica rupia insieme ai tanti piccoli schiavi invisibili, il cui compito consisteva nell’intrecciare i nodi dei tappeti con dita veloci.
Iqbal provò tante volte a fuggire, a scappare da quel luogo di tortura, ma finiva sempre per essere riacciuffato e riconsegnato al suo padrone che per punirlo lo isolava in una cisterna sotterranea priva di aerazione. Ma il bambino non si perse d’animo e finalmente, nel 1992, uscì di nascosto dalla fabbrica insieme ad altri bambini e a partecipare ad una manifestazione del Fronte di Liberazione dal Lavoro Schiavizzato. Fu in quell’occasione che Iqbal sentì parlare per la prima volta di libertà e di diritti dei bambini che vivevano in condizione di schiavitù. Prese coraggio, e di fronte al pubblico iniziò a denunciare la condizione di sofferenza in cui versavano i piccoli schiavi nella fabbrica in cui lavorava.
In poco tempo diventò il simbolo ed il portavoce del dramma dei tanti bambini sfruttati nelle fabbriche da padroni senza scrupoli. Iniziò a studiare, ad essere invitato in Europa, in America per raccontare la sua storia e quella di tanti altri piccoli ed il suo impegno era quello di favorire l’accesso all’istruzione a tanti ex-schiavi bambini. «Nessun bambino dovrebbe impugnare mai uno strumento di lavoro – diceva Iqbal – . Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono penne e matite. Da grande voglio fare l’avvocato e lottare perché i bambini non lavorino affatto». Ma il suo sogno è stato infranto troppo presto. Perché ai grandi quel bambino gracile e malnutrito metteva paura. Con le sue parole, con il suo coraggio, con la sua voglia di cambiare il mondo, di renderlo migliore. Lo hanno assassinato che aveva solo 11 anni, ma la sua voce gira ancora per il mondo, per i luoghi in cui i bambini vengono sfruttati.
E’ anche a lui che si deve un consumo molto più responsabile ed attento verso quei prodotti provenienti dal Pakistan e dai Paesi in cui è ancora molto presente il lavoro minorile. Il 16 aprile, giorno in cui fu assassinato, il mondo si ferma per ricordate il suo insegnamento per poi celebrare il 12 giugno la “Giornata mondiale contro la schiavitù minorile”. Perché c’è ancora da fare, e la schiavitù minorile in molti casi ha mutato forme, ma è rimasta una piaga ancora presente in molti Paesi, tra cui l’Italia e l’Europa.
e.m.