«Proprio adesso». In molti conoscitori di Giulietto Chiesa avranno pensato questa frase nell’apprendere la scomparsa del giornalista piemontese nel pieno della crisi e dei cambiamenti che sta vivendo l’Italia ed il mondo intero. Per chi era solito ascoltare i suoi ragionamenti di geopolitica, le ipotesi di scenari futuri, le interpretazioni di attentati e guerre nelle varie parti del mondo, la sensazione è di perdere un punto di riferimento per districarsi nei meandri della confusione e dell’inquietudine che si prospetta. Lui, nato negli anni della seconda guerra mondiale e che di guerre ne ha raccontate diverse, negli ultimi anni continuava a ripetere, con toni spesso catastrofisti, dell’imminenza di un’atroce guerra tra le più grandi potenze. Così come metteva in guardia dai pericoli della globalizzazione attuale, dal rischio di perdere delle libertà, dalla situazione del Pianeta, tutti nodi che stanno venendo prepotentemente al pettine in cui questo 2020, ma di cui Giulietto non potrà vedere l’evoluzione.
Non è stato facile, tra i ritmi vertiginosi della vita pre Covid-19, ragionare di assetti internazionali, contestare la Nato, provare a narrare una storia dei nostri giorni totalmente diversa da quella che raccontano la quasi totalità dei mezzi di informazione; e ancor meno facile è stato provarci in occidente, passando per nostalgico del partito comunista. Giulietto filo-russo lo è sempre stato, ma questo non gli ha impedito di interrogarsi onestamente, di indagare e provare a scoperchiare il vaso di Pandora (si, proprio come la TV fondata nel 2014) della geopolitica internazionale.
Il suo grande merito è di aver trasmesso un metodo, almeno per porsi dubbi, e di aver stimolato dibattiti su argomenti troppo spesso ignorati. Non gli sono mai mancati gli haters, da chi lo accusava di complottismo a chi gli rimproverava l’eccessivo catastrofismo o antiamericanismo, ma il cordoglio di chi rimpiange le accese discussioni su temi caldi lo avrebbe sicuramente inorgoglito. Come redazione di “Foglio di Via” e come giornale di strada non possiamo che sperare di prendere esempio da quello che ha rappresentato per tanti: giornalista scomodo, coraggioso, testardo e dalla parte degli ultimi. Perché, come ha scritto il vignettista Vauro ieri: «E’ morto un uomo ancora capace di piangere per l’orrore della guerra. I suoi occhi sono un po’ anche i miei.
Andrea La Porta