Dopo la caduta del dittatore Omar al-Bashir avvenuta lo scorso anno, qualcosa in Sudan è iniziata a cambiare. E la notizia di qualche giorno fa è un ulteriore conferma, anche se c’è ancora molto da fare in termini di educazione e sensibilizzazione. Perché il dramma delle mutilazioni dei genitali femminili in questo Paese africano è una pratica che secondo le stime dell’Organizzazione delle Nazioni Unite ha riguardato l’87% delle donne fra i 14 e i 49 anni. Ma adesso in Sudan la mutilazione genitale femminile è diventata un crimine, punibile con tre anni di carcere. E’ stato infatti approvato il testo di legge che per decenni il parlamento di Khartoum, finché era controllato dal dittatore Omar al Bashir, non è mai riuscito a portare in agenda.
La nuova legge, dunque, punisce tanto la pratica clandestina quanto l’appoggio a strutture mediche. Tuttavia molti osservatori avanzano dubbi sull’efficacia della legge e se possa essere realmente fatta rispettare. Un rapporto dell’Unicef condotto in 29 Paesi mediorientali e africani, 24 dei quali hanno leggi che proibiscono la pratica con diverse modalità, mostrano che la Mgf è ancora pratica largamente diffusa. Secondo le organizzazioni per i diritti umani locali, ben più della metà delle bambine viene ancora sottoposta a questa barbara pratica.
La credenza tradizionale in Sudan è che tagliare i genitali esterni di una ragazza garantisca l’onore della famiglia e le prospettive nel matrimonio. Tuttavia, la mutilazione può causare infezioni e, nei casi peggiori, infertilità o complicazioni durante il parto e perfino la morte. Inoltre riduce notevolmente il piacere sessuale. Secondo le associazioni che si occupano di difesa dei diritti delle donne, quindi, il provvedimento aiuterà a porre fine alle MGF, ma dovrà confrontarsi con la realtà di numerose comunità dove queste pratiche vengono considerate necessarie per dare marito alle ragazze.