“Venti di guerra nucleare, dall’altra parte del pianeta. Attentati terroristici a due passi da casa. Pandemie buone appena per far strepitare qualche giornalista ipocondriaco minacciano di decimare chiunque non si sottoponga a un costoso vaccino sperimentale”: inizia così il romanzo Arrivare a domani di Marco Di Carlo (edizioni fogliodivia), ma il tema non è né la geopolitica mondiale né la diffusione di qualche virus letale. A tener banco nell’abile struttura narrativa dello scrittore romano sono paura e pregiudizio che aprono e chiudono (forse sconfitte) un percorso circolare di dieci storie.
Da Tarek, il fruttivendolo tunisino, a Piotr, il senzatetto polacco, dalla colf peruviana Consuelo allo stakanovista rumeno Adrian, passando per Jamal, Rossana, Aminah, Qiang e Romolo: ad accomunare questi personaggi dal vissuto completamente diverso è la lotta per la vita, il cercare di andare avanti, di arrivare a domani senza troppi voli pindarici e tra mille difficoltà da affrontare, ferite da accettare.
Ogni capitolo è raccontato da un punto di vista diverso immergendoci in un ampiamento di prospettive che costringe a riflettere, pensare, porsi interrogativi. Il lessico moderno e per nulla banale di Marco Di Carlo, unito ad un’empatia rara nel descrivere i pensieri dei personaggi con sensibilità e delicatezza, rende questo libro una vera opportunità di confronto sulla società contemporanea, sull’intercultura, sui rapporti personali.
“Che senso ha avere paura?” si chiede, nelle ultime pagine del romanzo, Massimo, il personaggio chiave, quello in cui tutti possiamo immedesimarci: poco prima si era rifiutato di prestare il cellulare ad una ragazzina rom per una telefonata, le aveva prestato due euro non immaginando che veramente Rossana avrebbe riportato il resto. Ma proprio quell’incontro aprirà uno squarcio di speranza in lui, così come il sorriso stampato sul volto di Jamal e il suo ringraziare a prescindere migliora le giornate altrui.
Sotto l’apparenza di un libro sulla difficoltà del vivere si nasconde una fortissima speranza: quella dello sguardo buono, quella di chi non giudica gli altri ma prova a comprenderne i comportamenti.
Andrea La Porta