«La regolarizzazione dei migranti è senza ombra di dubbio un traguardo storico che la Flai Cgil chiedeva da molti anni. Appena esplosa l’emergenza sanitaria, insieme a Terra, abbiamo chiesto azioni urgenti per la tutela dei migranti nei ghetti, nella preoccupazione che il lockdown e le misure di tutela e prevenzione avessero dimenticato le decine di migliaia di lavoratori che con fatica hanno continuato ad assicurare disponibilità di cibo sulle nostre tavole. Al nostro appello hanno aderito tantissime realtà e singoli cittadini ed è anche grazie a loro, che ci hanno dato forza e sostegno, se siamo riusciti a raggiungere questo importante obiettivo”. Sono le prime parole dichiarate in una nota da Giovanni Mininni, Segretario generale della Flai Cgil, che in questi mesi si è ripetutamente speso nel chiedere la regolarizzazione dei tanti migranti impegnati nei campi dell’agricoltura. E come lui, tante altre realtà hanno gridato a gran voce: regolarizzateli.
Ieri sera ama, a Palazzo Chigi, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha presentato il decreto per il rilancio del Paese da 55 miliardi. Al suo fianco anche la ministra per le Politiche Agricole, Teresa Bellanova, che con commozione ha detto: «Voglio sottolineare un punto per me fondamentale, l’emersione dei rapporti di lavoro. Da oggi gli invisibili saranno meno invisibili. Da oggi possiamo dire che lo Stato è più forte del caporalato». A riguardo, Mininni ha evidenziato che «ci riteniamo molto soddisfatti delle misure previste dal provvedimento che potranno consentire di porre finalmente fine alla vergogna italiana dei ghetti con la possibilità di svuotarli grazie ad una accelerazione del Piano Triennale contro il caporalato e ad un lavoro sinergico tra Ministero per il Sud e la Coesione Territoriale, Regioni, Prefetture, Protezione Civile e Croce Rossa».
Per quanto riguarda la misura, quindi, i canali di regolarizzazione saranno due: l’emersione dei lavoratori in nero attraverso l’autodenuncia del datore di lavoro e il permesso temporaneo per coloro che ne avevano uno già scaduto. Nel primo caso, i datori di lavoro possono presentare domanda per sottoscrivere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale o per dichiarare l’esistenza di un rapporto di lavoro irregolare in corso. Nel secondo caso, i cittadini stranieri con permesso scaduto dal 31 ottobre 2019, non rinnovato o convertito in un altro titolo di soggiorno, possono richiedere un permesso di soggiorno temporaneo di sei mesi. Se entro i sei mesi, il cittadino straniero ottiene un contratto di lavoro subordinato, con la documentazione retributiva e previdenziale comprovante lo svolgimento dell’attività lavorativa, il permesso viene convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
In entrambi i casi, comunque, il migrante deve essere presente sul territorio nazionale prima dell’8 marzo 2020 e non deve essersi allontanato dopo la stessa data. La regolarizzazione, in ogni caso, vale solo per tre macrosettori: agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura; assistenza alla persona; lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare. Nell’istanza che viene presentata per la regolarizzazione, deve essere indicata la durata del contratto di lavoro e la retribuzione, che non deve essere inferiore a quella prevista dal contratto collettivo di lavoro di riferimento stipulato dalle organizzazioni sindacali e datoriali più rappresentative sul piano nazionale. Se si tratta di un buon provvedimento lo dirà il tempo e forse anche il “campo”. Noi come redazione di Foglio di Via cercheremo di raccogliere un po’ di voci autorevoli per approfondire il tema e capire se è stato fatto il meglio o si poteva fare di più.
e.m.