E’ tempo di ripensare gli spazi delle città invisibili. La sfida del Covid per migliorare l’inclusione di senza dimora e persone fragili

Questo articolo è stato pubblicato nel numero maggio-giugno 2020 del giornale di strada “Foglio di Via” ed in distribuzione in diversi punti della città.

di Emiliano Moccia

Il distanziamento sociale provocato da questi mesi di convivenza forzata con il Coronavirus hanno dato ulteriormente ragione a tutti quei senza dimora che in questi anni hanno chiesto un cambio di passo, una modifica delle attuali politiche di accoglienza: rendere a misura d’uomo e di donna anche le strutture che offrono servizi ai clochard. Come le mense per i poveri, ma soprattutto, come i dormitori. Giuseppe ce lo aveva segnalato già nel 2007, sempre attraverso il giornale Foglio di Via. «Un uomo ha il diritto di avere un posto in cui rifugiarsi, in cui fermarsi a riflettere, altrimenti corre il rischio di impazzire. Invece del classico dormitorio, si potrebbero costruire dei blocchi con tante stanze dove ognuna è occupata da un senza dimora». La necessità di rispettare il DPCM del Governo in materia di emergenza sanitaria, ha confermato che Giuseppe e gli altri poveri avevano visto giusto. Perché è quanto mai opportuno, oggi più che mai, evitare assembramenti, stipare persone nei dormitori e nelle mense, conficcare tutte quelle umanità fragili con la scusa che mancano i servizi e le strutture. Ed allora, c’è poco da fare: è giunto il momento di iniziare seriamente a ripensare agli spazi, ai modi, ai tempi di fare accoglienza. Perché in gioco c’è la salvaguardia della dignità delle persone, con le loro storie, il loro carichi di umanità, le loro sofferenze. Se mai dovesse accadere che il Comune di Foggia, attraverso l’assessorato ai Servizi Sociali, dovesse realizzare un dormitorio per senza dimora, non potrà fare a meno di prendere appunti e di progettare un intervento che tenga conto di questi parametri, della necessità di sviluppare dormitori non come grosse camerate in cui posizionare brandine, ma come piccole unità abitative dove sistemare 2 massimo 3 persone. L’esempio virtuoso di quanto realizzato in questi anni presso la Casa di Prima Accoglienza Santa Elisabetta d’Ungheria nella parrocchia di Gesù e Maria, è la strada da seguire. Accoglienza per 16 senza dimora in camere da 2-3 posti, con mensa comunitaria e spazi condivisi. Un modo per garantire il rispetto della privacy, del bisogno di riflettere, di restare un attimo da soli con se stessi per riprogrammare il proprio futuro.

CARCERE TRA SOVRAFFOLAMENTO E MISURE ALTERNATIVE
E lo stesso vale per il mondo del carcere. Lo ha ribadito ancora una volta l’associazione Antigone che in questi giorni ha presentato il XVI Rapporto sulle condizioni di detenzione dal titolo “Il carcere al tempo del Coronavirus”. «La pandemia ci ha dimostrato che sistema penale e penitenziario possono essere più miti e attenti ai diritti, senza che questo pregiudichi in alcun modo la sicurezza pubblica» ha detto Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, rilevando che «erano 52.679 i detenuti presenti nelle carceri italiane lo scorso 15 maggio. 8.551 in meno rispetto a fine febbraio. Il tasso di affollamento attuale è del 112,2%, mentre due mesi e mezzo fa era del 130,4%». E allora cosa è successo? «Lo scoppio della pandemia – ha sottolineato Gonnella – ha messo a nudo tutte le problematiche del nostro sistema penitenziario che da anni andiamo sottolineando e denunciando, in primis quello del sovraffollamento. La necessità di fare spazio per prevenire i contagi, ha visto mettersi in moto una macchina che in poche settimane è riuscita a fare quello che fino a pochi giorni prima dello scoppio della pandemia sembrava impossibile solo a dirsi». I detenuti in due mesi e mezzo sono diminuiti del 13,9% tramite gli strumenti della custodia cautelare e della concessione di misure alternative alla detenzione per tutti quei detenuti, erano quasi 20.000, che hanno pene da scontare inferiori ai tre anni.

SPAZI PER BAMBINI E PER PERSONE CON DISABILITA’
Ma gli spazi da rivedere sono anche quelli per i bambini, che in una città come quella di Foggia soffocano per la mancanza di ampi spazi verdi e dotati di attrazioni ludiche in cui giocare tranquilli, passeggiare o correre, senza il terrore di trovare cocci di vetro per terra, tombini divelti, escrementi di cani o la materia prima stessa: aree verdi nei vari angoli della città. E lo stesso vale per le persone con disabilità, costrette più di tutte a restare a guardare il mondo dalle finestre o dai balconi, con grande sacrificio per se stesse e per i loro famigliari che in tanti casi per amore dei loro cari annullano del tutto o quasi le loro esistenze. Ed allora, occorrono non solo spazi e strutture adeguate, ma anche il divieto permanente ad occupare i marciapiedi in maniera arbitraria impendendo la mobilità a chi convive con disabilità visive o fisiche. Ma serve continuare ad investire in contributi economici per le famiglie che si prendono cura delle persone in condizioni di gravissime non autosufficienze. Perché il rischio che qualcuno resti indietro è sempre in agguato. Anche quando il Covid-19 sarà sconfitto o tenuto più sotto controllo. Non lasciamoci sfuggire questa opportunità di ripensare agli spazi delle nostre città invisibili (per scomodare Italo Calvino) e dell’importanza che ciascuno di noi ha con il suo atteggiamento nella vita quotidiana degli altri. Specialmente dei più fragili.

Foto: Laura Longo