Questo articolo è stato pubblicato nel numero maggio-giugno 2020 del giornale di strada “Foglio di Via” ed in distribuzione in diversi punti della città.
di Ruggiero Di Cuonzo
Se spulciamo tra dati ISTAT relativi alla povertà in Italia, vediamo che nel 2018 oltre 1,8 milioni di famiglie vivevano in uno stato di povertà assoluta con un incidenza pari al 7 per cento per un totale di oltre 5 milioni di persone. il dato, già di per se allarmante, è stato stravolto in questi mesi a causa delle conseguenze economiche e lavorative dovute alla pandemia da coronavirus. Secondo Save the Children oltre la metà dei bambini (2,2 milioni) in povertà relativa rischiano di cadere in povertà assoluta. L’emergenza Covid rischia o lo sta già facendo, di trascinare milioni di famiglie in povertà relativa o economicamente fragili, nel vortice di una povertà assoluta e difficilmente contrastabile. Per non parlare dei riflessi negativi, di questa crisi economica e soprattutto sociale, sul fronte della educazione. Con le scuole chiuse ormai da mesi e con scarse prospettive di un ritorno ad una scuola e di lezioni solo in presenza, la maggioranza di questi bambini è già rimasta e lo rimarrà sempre più indietro nell’apprendimento ed quasi isolata dal contesto sociale inerente la scuola, a causa della evidente difficoltà ad accedere alla didattica a distanza perché privi degli strumenti e delle tecnologie necessarie. Non dimentichiamo che l’istruzione è un diritto sancito nella Costituzione dall’articolo 34.
DALLA STABILITA’ ECONOMICA AL BARATRO
Il ricorso a strutture della Caritas e di altri enti del volontariato religioso e laico, ha avuto un incremento esponenziale negli ultimi mesi sempre a causa della mancanza improvvisa di reddito da parte di tutti coloro che non hanno potuto lavorare a causa della pandemia. Il dato che dovrà farci riflettere e rivedere un attimo anche le modalità di distribuzione degli aiuti e quello relativo alla fascia sociale che oggi si ritrova in condizione di chiedere aiuto anche alimentare. I nuovi poveri da coronavirus oggi sono commercianti, piccoli artigiani, operai che hanno perso il lavoro o che lo mantengono ancora ma con una retribuzione minima che non consente loro di poter soddisfare i bisogni primari quali il cibo o le cure. La platea è cambiata. Si è diversificata oltre che ampliata a dismisura. Quindi non più solo senza dimora o immigrati o famiglie già escluse dal ciclo produttivo per varie cause, ma persone che fino a qualche mese fa godevano di una certa stabilità economica anche se già tendente al ribasso a causa della congiuntura economica sfavorevole degli ultimi anni. il dramma più grande è che questa tendenza non arretra ed anzi si sta rafforzando giorno per giorno con un effetto domino che coinvolge a catena categorie del lavoro interdipendenti tra di loro lambendo se non toccando anche alcune professioni.
MISURE DI WELFARE E SOSTEGNO AL REDDITO
Ora, dopo le migliaia di vittime della pandemia che hanno segnato per sempre il nostro Paese e non solo il nostro, ci deve far paura quello che sta avvenendo e che avverrà nei prossimi mesi se non addirittura nei prossimi anni a livello economico e sociale. Come rispondere a tutto questo? Non credo che ci sia qualcuno che possa rispondere a questa domanda in maniera esauriente, ma credo che si possa tentare di arginare questo fiume in piena ripensando tutte quelle misure di welfare e di sostegno al reddito fin qui utilizzate. Introducendo una nuova fase di coesione sociale fondata sulla solidarietà e la mutua assistenza tra classi sociali, se ha ancora senso parlare di classi, con la presa in carico dei più deboli ed economicamente fragili, da parte della collettività e soprattutto di chi ha la possibilità economica per un giusto e quanto mai necessario abbattimento delle diseguaglianze socio economiche. Bisognerà rivedere ed incrementare il ruolo e rafforzare l’azione di tutte quelle realtà del volontariato che in questi mesi hanno fatto miracoli a fronte di una richiesta di aiuto decuplicata. E’ quanto mai necessario in questo frangente un massiccio intervento dello Stato per porre un argine a questa catastrofe economica con investimenti, anche in deficit, tesi a creare i presupposti per un piano di rilancio delle opere pubbliche che possano creare posti di lavoro e quindi un ciclo economico virtuoso. Sicuramente tutto questo non potrà abbattere del tutto il problema ma ridurlo sensibilmente sì. Chi nonostante tutto rimarrà fuori dovrà comunque essere supportato. In definitiva, serve un patto sociale che veda protagonisti tutti, nessuno escluso, per poter resistere a questa tragedia, ripeto, umana e economica. E che nessuno si sogni di soffiare, per proprio tornaconto politico, su questo fuoco che sta già per diventare un incendio. Questa volta, davvero, chi seminerà vento, raccoglierà tempesta.