di Mario Valente
J. è un ragazzo afghano di 35 anni. L’ho incontrato nel settembre 2019, mentre dormiva presso il dormitorio a bassa soglia allestito a Foggia dall’associazione Fratelli della Stazione presso la chiesa di Sant’Alfonso de’ Liguori. E’ fuggito da suo paese qualche anno fa. Appartenendo ad un’etnia particolarmente popolosa in Afghanistan, gli Hazāra, ampiamente perseguitata sia dai talebani che dal governo legittimo, dopo aver visto tutta la sua famiglia spegnersi a causa della guerra e delle persecuzioni etniche, J. si è trovato davanti ad una scelta obbligata: «Chi rimane, in Afghanistan, è costretto ad arruolarsi o per l’esercito o per i talebani, ma io non volevo. Ne ho abbastanza della guerra».
Il suo viaggio ha il sapore di un poema spoglio di ogni epicità. L’onore e la pietās non esistono nelle fughe per la sopravvivenza: nessun Anchise da salvare, nessuna Didone da amare, nessuna Roma da fondare. Esiste soltanto un disperato e sacrosanto desiderio di continuare a vivere. Fuggito nel 2013, J. vive alternativamente tra Iran, Turchia, Grecia, Svezia. Poi l’Italia. Ed è proprio nel nostro paese che conosce la strada: «A Bolzano, quando sono arrivato, ho provato a chiedere in chiesa, ma non mi hanno permesso di riposare. Poi sono andato in Questura, dove ho chiesto prima un posto per dormire e poi di fare la domanda di asilo, ma mi hanno detto che erano troppo occupati, troppa gente faceva la mia stessa domanda di asilo nello stesso periodo, quindi dovevo aspettare. Mi hanno dato una carta dove c’erano scritte queste cose e mi hanno detto di tornare tre mesi dopo. Ma era impossibile! Avevo paura che se avessi aspettato ancora altro tempo sarei morto di freddo».
Quindi Enea continua il suo viaggio, senza meta e senza casa. Dopo Bolzano, Roma, Lecce. Poi finalmente Foggia: dopo mesi di attese e riesce ad entrare nel circuito dell’accoglienza, la sua richiesta d’asilo viene accettata, ora la sua posizione sul territorio italiano è regolarizzata. Si, ma la vita vera al di fuori dei documenti? J. dorme per tre mesi a Sant’Alfonso. Ha ottenuto il permesso, ma ha bisogno del documento fisico per poter ottenere un contratto di lavoro regolare. Incastrato in questo ostacolo, Senza Dimora a causa di lungaggini burocratiche, J. sosterà nel dormitorio fino alle prime settimane di ottobre. Poi, ottenuto il documento, parte nuovamente. Per Roma, stavolta. Per un futuro nuovo. Senza epicità, senza un Anchise da salvare e senza una Didone da amare. Roma è già lì che l’aspetta, bella che fondata. Ora, si tratta solo di continuare a sopravvivere.