La bellezza della poesia in carcere per rinascere dentro e sognare la libertà

di Alfonso Di Gioia

Dei versi per vedere dalle proprie celle il mare ed una casa bianca in mezzo al blu, sognando la libertà e sognando di andare via, via. È grazie a “La casa in riva al mare” di Lucio Dalla che, in Daniela D’Elia, nasce il desiderio di portare la poesia fra le mura delle carceri foggiane. E lo hanno fatto attraverso il progetto “le vie d’uscita”. Intervistare Daniela e Maria Del Vecchio è stato, per me, davvero un grandissimo onore. Dalle loro parole si evince tutta la loro passione e la voglia di provare a dare un forte contributo affinché la rieducazione non sia semplicemente una parola enunciata nell’articolo 27 della Costituzione italiana.

«All’inizio erano in tre persone a venire ai nostri corsi perché la poesia era vista come un qualcosa di poco virile – racconta Daniela D’Elia – . Adesso ci sono addirittura le file d’attesa. Si tratta di un successo assoluto perché i detenuti si sentono coinvolti e riconoscono nella poesia, uno strumento per conoscersi a fondo. L’arte può dare grande sostegno nel percorso di rinascita di un detenuto e un grande esempio, in tal senso, lo abbiamo grazie al carcere di Volterra. Inoltre, alla base del nostro successo, c’è la veridicità dei nostri rapporti. Noi ci guardiamo negli occhi». Il tema della conoscenza è tanto caro anche a Maria Del Vecchio, che ripete più volte come la questione delle carceri non debba essere “estranea” alla nostra vita: «Il carcere non è un luogo “altro” e deve riguardare tutti noi. Che senso ha dire “buttiamo le chiavi e lasciamoli marcire lì”? Prima chiediamoci perché. Che responsabilità abbiamo noi come società? Ogni volta che non ci occupiamo di educazione, scuola, figli, poveri, noi creiamo potenziali criminali».

In seguito al Covid-19 e alla rivolta avvenuta, il progetto “le vie d’uscita” è sospeso ma sia Daniela sia Maria non vedono l’ora di tornare a portare la poesia e l’umanità fra le mura del carcere. E, a proposito di umanità, Daniela si chiede «come sia possibile che in un carcere come quello di Foggia, prima dell’emergenza legata al Covid, ci fossero 650 persone su una capienza massima di trecentocinquanta. In questa maniera ci sono anche tre o quattro persone in una cella di 20 metri quadrati. Peraltro come si può pensare di rieducare qualcuno se, in certi casi, nella medesima cella ci sono dei compagni di reato». Maria, che come Daniela non è mai banale, mi parla anche di sessualità. A tal proposito lei immagina un nuovo lessico attorno a questo tema e aggiunge: «Come si può pensare di rieducare, facendo perdere la bellezza dell’amore?». Ed a proposito dell’amore, concludo condividendo una riflessione: mettiamo sempre più cuore nelle nostre vite e smettiamola di girarci dall’altra parte quando incontriamo l’altro. Dietro ad ogni uomo c’è una storia che merita rispetto.