Questo articolo è stato pubblicato sul numero giugno/luglio 2020 del giornale di strada “Foglio di Via”.
di Valentina Depalma
La direzione ultima del mio sguardo prima di entrare in stazione e la prima, appena uscita dalla stazione. Per quasi cinque anni sei stata una presenza costante, nell’ultimo mi hai concesso di esserti amica. Già, chi lo ha stabilito che chi vive in strada deve per forza essere amico di tutti? E questo tu lo sapevi bene. Abbiamo costruito la nostra amicizia sera dopo sera, parola dopo parola, domanda dopo domanda hai cominciato a scoprire i tuoi occhi. Abbassare la coperta e mostrare i tuoi bellissimi occhi azzurri era un atto di fiducia che riservavi a pochi, quando ti accorgevi che tra noi c’era qualcuno di nuovo quella coperta restava lì tutto il tempo e si faceva una gran fatica a sentire anche la tua voce. Nelle sere più fredde mi hai invitata ad entrare in casa tua, una casa fatta di coperte e un cartone inumidito, la differenza tra il dentro e fuori è sempre e solo stata una coperta, ma quello era tutto il tuo mondo e consentirci di avvicinarci, quello sì era un vero e proprio gesto di affetto, visto che non ci hai mai permesso neanche di buttarti una lattina vuota.
Ti ho vista danzare di sera tardi, con mio grande stupore, sotto i portici mentre tutta la stazione era avvolta nel silenzio, ma poi sistemarti di corsa nella tua valigia quando ti sei accorta della nostra presenza. Non avevi quasi mai «bisogno di nulla», così dicevi, poi una sera ci hai chiesto delle scarpe perché «cosa avrebbe pensato di te la gente se ti avesse vista camminare scalza per strada», ci hai fatto sorridere, ma ti abbiamo promesso di cercare le scarpe esattamente come le volevi tu, sapendo che quelle scarpe forse ancora non le hanno inventate. Ti ho vista arrabbiarti con noi e con il nostro modo di far servizio e tenerci il broncio per giorni, poi sorridere e far tornare il buonumore alle battute del volontario a cui più di tutti tenevi testa. Passavo a salutarti spesso prima di tornare a casa e tu mi chiedevi del mare e se tornavo dalla famiglia «fai bene ogni tanto devi tornare», ma poi quando tornavo contavi i giorni che non ero passata, o i giorni che mancavo dal servizio.
Già, non so se per affetto, per preoccupazione o per ricordare i giorni ma sapevi esattamente quanti giorni ognuno di noi era stato assente dal servizio e chi dovevi attendere ogni giorno della settimana. Hai reso tante mie serate migliori, mi hai fatto sorridere e preoccupare, spesso riconciliare col mio di mondo, proprio come fanno le amiche. Altre volte mi hai mandata via perché non avevi voglia di parlare o perché eri stanca, altre hai chiesto di me agli altri volontari, vallo a spiegare che anche per strada possono nascere le amicizie e che il nostro servizio spesso fa più bene ai volontari che a voi. Sono andata via senza salutarti perché in città erano giorni particolari e lo stesso hai fatto tu senza clamore, in un primissimo pomeriggio il tuo cuore pare si sia fermato, ma sei andata via serena senza troppo rumore, senza salutare nessuno… Qualche giorno fa sono tornata in stazione a far servizio, il tuo posto è stato occupato da qualcun altro, c’è un’altra coperta e un altro cartone… non ci sei tu… manchi a noi, che concludevamo il servizio passando sempre a “darti la buonanotte”, manchi alle altre signore che si fermavano a chiacchierare davanti a te. Forse non abbiamo fatto abbastanza, forse non siamo arrivati in tempo, ma per tutti noi non eri solo un mucchio di cartoni e coperte, ma un’amica. La strada è più vuota, la stazione di sera è deserta, ma fidati cara Giovanna che poi così “invisibile” non lo eri per nessuno. Io all’angolo della strada ci vedo ancora la tua coperta bianca da cui spuntano i tuoi bellissimi occhi azzurri.
La tua “piccoletta coi capelli corti”.