Questo articolo è stato pubblicato nel numero giugno/luglio 2020 del giornale di strada “Foglio di Via”
di Emiliano Moccia
Siamo proprio così sicuri di essere esenti da responsabilità? Siamo proprio così convinti che nessuno di noi qui in Italia abbia responsabilità sui motivi che spingono milioni di persone a fuggire dai loro Paesi a causa di guerre, conflitti, violenze, miserie? Siamo proprio così tranquilli da poterci permettere di sparare a zero contro tutti quei migranti – bambini, adulti ed anziani – che rischiano la loto vita pur di mettersi in viaggio per raggiungere terre apparentemente più tranquille? ed alle volte anche di esultare – vedi i commenti sui social – quando le imbarcazioni affondano nelle acque de Mediterraneo? Che ruolo ha l’Italia nei conflitti sparsi per il mondo? Che ruolo ha il nostro Belpaese nella corsa agli armamenti? Che ruolo hanno le fidate banche in cui depositiamo i nostri risparmi nelle attività legate al commercio di armi e armamenti? Perché se in tanti casi le scelte politiche del Governo di turno che coinvolgono il nostro Paese in guerre – benché l’articolo 11 della Costituzione italiana recita che «l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» – sono causa di fughe massicce dai Paesi colpiti dai bombardamenti per le quali poi ci si dovrebbe preparare alla conseguente accoglienza, in tanti altri il ruolo dell’Italia è più sottile. Quasi nascosto. Eppure, fa rumore. E molto.
L’EXPORT DI ARMI ITALIANE
Nelle scorse settimane è stata trasmessa al Parlamento la Relazione governativa annuale sull’export di armamenti realizzata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF). Nel 2019 il Governo italiano ha autorizzato l’esportazione di materiale bellico per un valore di 5,17 miliardi di euro, sostanzialmente in linea con il 2018. Lo scorso anno, quindi, tra le prime dieci destinazioni in cui l’Italia ha autorizzato l’export di armi ci sono quattro Paesi della Nato, due Paesi dell’Africa Settentrionale (oltre all’Egitto, l’Algeria), due asiatici (oltre al Turkmenistan, la Corea del Sud), l’Australia e il Brasile. Nel loro complesso, il 62,7% delle autorizzazioni per l’export ha avuto come destinazione Paesi fuori dall’Unione europea e dalla Nato in cui risultano conflitti. Tra questi, ci sono anche Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, nonostante dal luglio 2019 sia attiva la sospensione delle vendite di bombe d’aereo e missili verso i due Paesi. «L’Italia è ancora protagonista negativa dei flussi di armi verso i Paesi coinvolti nel sanguinoso conflitto in Yemen, con altissimo tributo di vittime civili, distruzione di infrastrutture vitali e di un impatto umanitario devastante anche a causa di numerose ed accertate violazioni di diritti umani con possibili crimini di guerra» hanno commentato Rete Italiana per il Disarmo e Rete della Pace. Non solo. Il Paese destinatario del maggior numero di licenze risulta essere l’Egitto con 871,7 milioni (derivanti in particolare dalla fornitura di 32 elicotteri prodotti da Leonardo spa) seguito dal Turkmenistan con 446,1 milioni. «Negli anni sono continuate le esportazioni verso aree dove c’erano conflitti efferati e sanguinosi, come l’Iran e l’Iraq, ma abbiamo venduto armi anche al Sudafrica razzista. Per chi gestisce l’export finché c’è guerra c’è speranza – ha detto Maurizio Simoncelli di Archivio Disarmo – . L’Italia ripudia la guerra, ma dal 2013 la crescita è stata evidente, i cambi di governo e di colore politico non hanno influito particolarmente, gli affari sono continuati anche con i governi di centrosinistra. E’ il caso dell’Arabia Saudita e dell’Egitto. Verso quest’ultimo paese c’era stato un blocco dopo il caso Regeni, ma dal 2018 la vendita è ripresa e la linea di tendenza è in continua crescita. Nonostante la 185 sia una buona legge, ad oggi non è suffciente ad arginare le esportazioni». Per approfondire la relazione ed il gioco dell’export di armi ed armamenti italiane nel mondo basta andare sul sito www.disarmo.org.
LE “BANCHE ARMATE”
Ma anche gli istituti di credito hanno un ruolo rilevante in questa corsa alle armi. Dalla Relazione del MEF, infatti, nel 2019 risultano transazioni bancarie attinenti ad operazioni di esportazione di armamenti per un valore complessivo di 3.833.849.671 euro di “importi segnalati” e di 5.612.452.670 per “importi accessori segnalati”. Nella Relazione non è spiegata la differenza concettuale e pratica tra questi due importi. La Relazione, inoltre, segnala operazioni delle banche relative a “Programmi intergovernativi” per 1.055.624.566 euro e per “Licenze globali” del valore di 626.161.059 euro. Le maggiori operazioni per esportazioni di sistemi militari sono state svolte da tre gruppi bancari: UniCredit che riporta “importi segnalati” per 1.556.304.144 euro a cui vanno aggiunti gli “importi segnalati” da UniCredit Factoring del valore di 159.126.588 euro; Deutsche Bank che riporta “importi segnalati” per 793.751.149 euro; Barclays Bank con 793.751.149 euro; Banca Popolare di Sondrio che riporta 189.638.925, e IntesaSanpaolo che riporta “importi segnalati” per 143.270.858 euro. Ma nella classifica ci sono anche, seppur con importi inferiori, la BNP Paribas, la Cassa di Risparmio della Spazia SPA, la Banca Monte dei Paschi di Siena e tante altre. Cosa può fare ciascuno di noi alla luce di queste informazioni? Assumere il ruolo del risparmiatore consapevole, magari scegliendo la propria banca anche in funzione della sua estraneità in queste operazioni e della sua eticità. Perché ogni operazione che facciamo in banca sostiene, nostro malgrado, anche le operazioni di esportazioni di armamenti. E dunque, eventuali bombardamenti e guerre accese da qualche parte del mondo. Se volete saperne di più potete visitare il sito www.retedellapace.it.