«Mai più» gridavamo tutti quando morì il piccolo Alan Kurdi. Ma dopo quella foto i bambini in mare muoiono ancora. E tanto

di Emiliano Moccia

Cinque anni fa il piccolo Alan Kurdi perse la vita in un naufragio di fronte alla costa turca nel tentativo di raggiungere la salvezza in Europa. L’immagine del suo piccolo corpo inerme con la maglietta rossa adagiato sulla spiaggia era diventata un simbolo del destino che tocca ai migranti che fuggono dai loro Paesi per cercare fortuna in Europa. Alan, come altre migliaia di migranti – giovani e non – è morto annegato mentre sognava di costruirsi un futuro migliore lontano dalla guerra, dalla violenza, dalla cattiveria degli uomini.

Quella foto ha indignato il mondo intero. «Mai più» gridavano tutti. Forse per qualche ora, perché ancora oggi sui social in particolare – e tra le parole di politici rozzi, populisti e xenofobi – si continua a far finta di non vedere, non ci si scandalizza più di fronte ai numeri dei migranti morti in mare. Anzi, in tanti casi – vedi la tragica morti di tre migranti avvenuta in seguito all’esplosione di un barca al largo di Crotone – si leggono commenti di felicità, di contentezza, di liberazione per la morte di esseri umani che provavano solo a migliorare la loro condizione di vita. Perché nessuno può scegliere dove nascere, ma si può scegliere dove vivere. Dove vivere in pace per lavorare, per costruire un futuro, per garantire una qualità delal vita migliore a se stessi ed ai propri figli. E ce lo hanno insegnato i nostri bisnonni, i nostri nonni, in tanti casi anche i nostri genitori o i nostri fratelli. 

Nonostante il tragico evento di Alan Kurdi, e molti altri che si sono succeduti, i diritti dei minori migranti e rifugiati non sono adeguatamente garantiti dall’Europa. Da allora più di 700 minori, neonati compresi, hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere le coste europee, durante pericolosi viaggi via mare. Non solo. Oltre 200.000 minori stranieri non accompagnati, in fuga da conflitti, persecuzioni o violenze, hanno chiesto asilo in Europa negli ultimi cinque anni, ma è probabile che il numero di bambini e ragazzi arrivati sia molto più alto, molti tra loro, infatti, sono costretti a un’esistenza nell’ombra in Europa, a rischio di sfruttamento e abuso. E’ quanto afferma il nuovo rapporto “Protection Beyond Reach” di Save the Children, l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini e garantire loro un futuro, pubblicato proprio nel giorno in cui il mondo dovrebbe fermarsi per fare memoria di quanto accaduto al piccolo Alan.

Invece, ancora oggi molti minori stanno fuggendo da Paesi che affrontano crisi, alcune delle quali protratte per anni. Con il conflitto in Siria al suo decimo anno, la metà degli otto milioni di bambini del Paese non ha conosciuto altro che la guerra. Il conflitto in Afghanistan, da cui proviene la maggior parte dei minori non accompagnati che arrivano in Europa, rimane tra i più mortali per i bambini, che rappresentano quasi un terzo di tutte le vittime nel Paese. E come hanno risposto molti Paesi europei alla crisi dei migranti? Chiudendo i loro confini, facilitando la detenzione dei minori o rendendo quasi impossibile il ricongiungimento dei bambini con i loro genitori. Eppure, quel giorno, guardando la foto del piccolo Alan morto in acqua tutti gridavano: «Mai più». Così non è stato. E non si prova vergogna. Non più. Neanche nel rivedere quell’immagine, quel piccolo corpo con il volto immerso nell’acqua che magari starà ancora sognando di raggiungere una terra migliore. Una terra di vita.