Dall’Indice Globale della Fame 2020 emerge che, a livello mondiale, la fame è ad un livello moderato, in miglioramento rispetto al 2000, ma resta alto l’allarme fame e malnutrizione: 11 Paesi registrano livelli di fame allarmanti e 40 paesi appartengono alla categoria grave. Le conseguenze socioeconomiche dell’emergenza Covid-19 potrebbero peggiorare la situazione e vanno ad aggiungersi all’impatto del cambiamento climatico sulla produzione, disponibilità e qualità del cibo e quindi sulla sicurezza alimentare globale. Sono l’Asia meridionale e l’Africa a Sud del Sahara le regioni con i livelli di fame più elevata, i cui punteggi di GHI 2020 sono rispettivamente di 27,8 e 26. In entrambe le aree la fame è di livello grave, a causa dell’elevata percentuale di persone denutrite (rispettivamente 230 e 255 milioni) e dell’alto tasso di arresto della crescita infantile (1 bambino su 3). L’Africa a sud del Sahara ha il più alto tasso di mortalità infantile al mondo, mentre l’Asia meridionale ha il più alto tasso mondiale di deperimento infantile.
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Secondo l’Indice 2020, 3 dei 107 paesi che hanno dati sufficienti per il calcolo dei punteggi di GHI registrano livelli di fame allarmanti – Ciad, Timor Est e Madagascar – e 31 gravi. La fame è considerata allarmante in altri 8 paesi – Burundi, Comore, Repubblica Centrafricana,Repubblica Democratica del Congo, Siria, Somalia, Sud Sudan e Yemen – e gravein altri 9 sulla base di classificazioni provvisorie, tra cui Haiti, Mozambico, Myanmar e Zimbabwe. L’Indice Globale della Fame (Global Hunger Index, GHI) realizzato da Welthungerhilfe e Concern Worldwide e curato da Cesvi per l’edizione italiana, è uno dei principali rapporti internazionali per la misurazione multidimensionale della fame nel mondo.
Secondo le agenzie delle Nazioni Unite, inclusa l’Organizzazione Mondiale della Sanità, e la Banca Mondiale quasi 690 milioni di persone sono denutrite; 144 milioni di bambini soffrono di arresto della crescita e 47 milioni soffrono di deperimento e 5,3 milioni sono morti prima dei cinque anni nel 2018, in molti casi a causa della malnutrizione. L’Indice Globale della Fame è uno strumento sviluppato per misurare e monitorare complessivamente la fame a livello mondiale, regionale e nazionale, sulla base dell’analisi di quattro indicatori: denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità dei bambini sotto i cinque anni. L’Indice Globale della Fame2020 si concentra sulla fame in relazione alla salute umana, animale e ambientale e lo sviluppo di relazioni commerciali eque, mostrando come le attuali sfide siano interconnesse e richiedano un’azione a lungo termine e soluzioni politiche.
«L’Indice Globale della Fame 2020 – sottolinea la presidente di Cesvi, Gloria Zavatta – mostra che la lotta alla fame globale deve essere sempre di più un impegno comune e una sfida sempre più urgente, resa ancora più complessa dalla pandemia di Covid-19 e dalle sempre più drammatiche conseguenze del cambiamento climatico. Cesvi, attiva con 121 progetti in 22 Paesi del mondo, è in prima linea da decenni nella lotta alla fame e nel sostegno alle popolazioni in fuga da guerre, persecuzioni e violazioni dei diritti umani. Soprattutto nei paesi caratterizzati da elevati livelli di povertà e di difficoltà di accesso al cibo, come la Somalia, interviene per migliorare i livelli di nutrizione e sicurezza alimentare».
Per Zavatta, quindi, non ci sono dubbi: «Davanti alle crisi attuali le istituzioni multilaterali, i governi, le comunità e i singoli individui devono immediatamente realizzare una serie di interventi atti a garantire la continuità della disponibilità alimentare, la produzione e la distribuzione di cibo. È importante che governi, donatori e ONG lavorino a stretto contatto con organizzazioni che godono della fiducia delle comunità e delle autorità per assicurare misure di protezione sociale per i più vulnerabili. I paesi ad alto reddito devono aiutare i paesi a basso reddito perché solo con il loro supporto potranno uscire dall’insicurezza alimentare».