Da sposa bambina alle violenze subite, oggi S. cerca il suo futuro in un progetto di accoglienza

di Emiliano Moccia

S. è stata una sposa bambina. Ed ancora oggi porta sulla sua pelle e sulla sua vulnerabilità quel terribile passato da cui è riuscita in qualche modo a fuggire. Perché S. ha avuto coraggio e si è ribellata alla volontà del padre. Quando era ancora minorenne, infatti, proprio il padre ha combinato il suo matrimonio con un uomo più grande di lei per poter così saldare un debito contratto. S., orfana di madre, è stata vittima di questa decisione, molto diffusa nel suo Paese, la Nigeria, ed in molto Paesi dell’Africa e dell’Asia; basti pensare che secondo l’Unicef ogni anno nel mondo 12 milioni di bambine diventano improvvisamente mogli. Ma S. non ha accettato il matrimonio precoce che la vita le aveva posto davanti. Ed ha deciso di fuggire, di scappare dalla sua terra, per cercare un futuro migliore.

Una sua amica l’ha convinta a dirottare il suo viaggio verso l’Europa, verso una terra accogliente e generosa, le diceva. S. ha iniziato il suo lungo cammino, quello che compiono migliaia e migliaia di migranti accompagnati per la maggior parte del percorso dai contrabbandieri. Ma prima in Niger e poi in Libia la vita di S. ha subito un altro colpo terribile, atroce. E’ stata vittima di violenza, più volte. Fino a quanto libera è riuscita ad imbarcarsi su una di quelle carrette di mare che attraversano il Mediterraneo. E’ arrivata in Italia, in Europa. E’ entrata in contatto con l’amica che l’aveva convinta a fuggire dalla Nigeria per trovare un lavoro, un futuro. Ma ha trovato la strada, la polvere, la schiavitù. E’ stata costretta a prostituirsi. Altra violenza, altro dolore. Poi, è successo qualcosa. Una vita, una nuova, le ha ridato un minimo di speranza. E’ rimasta incita. Ha cercato aiuto. E’ stata inserita in un progetto di accoglienza da cui è riuscita ad ottenere lo status di rifugiata.

Oggi S. ha 23 anni e con sua figlia di appena 2 anni vive in provincia di Foggia. E’ una delle donne beneficiarie di un progetto SIPROIMI – Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati – gestito dalla cooperativa sociale Medtraining. Seguita dagli operatori sta provando a ricostruirsi una vita, un futuro. Non è facile, perché ha ancora i segni sul suo corpo e sulla sua vulnerabilità che le ricordano il passato, le violenze subite, le delusioni provate. Ma si fa forza, anche grazie alle cure e alle attenzioni che ripone in sua figlia, anche grazie al lavoro degli operatori che provano a farle conoscere un po’ di positiva, di fiducia nell’altro. L’obiettivo è di inserirla per gradi nelle dinamiche sociali della comunità, magari partendo da un corso di formazione che possa appassionarla, insegnarle un mestiere, parlarle di nuove possibilità.

Il 25 novembre si celebra la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”. La storia di S. ci ricorda che esiste anche questo tipo di violenza, e che molte donne migranti sono costrette a fuggire dai loro Paesi a cause di matrimoni precoci combinati dalle famiglie, delle mutilazioni genitali femminili, di violenze di vario genere. I progetti SIPROIMI, dunque, hanno anche la finalità di accogliere queste donne per ridarle fiducia e speranza, partendo dalle piccole cose, dall’incontro e dai messaggi positivi. Affinché il loro passato possa essere sostituito da un presente ed un futuro davvero migliori.

Foto: Unicef