Diallo, un sogno chiamato documento: «Chiedo solo di non essere invisibile»

Testa bassa e mani che si tormentano, Diallo aspetta di raccontare la sua storia ripetuta chissà quante altre volte.
Con voce esitante inizia il suo racconto che per via della lingua a volte resta incomprensibile.
Viene dal Senegal e il suo viaggio dura alcuni mesi. Dall’Africa occidentale si sposta verso est: Mali, Burkina Faso, Niger, dove per entrare è costretto a pagare. Tutto il viaggio lo fa in pullman. La sua traversata africana termina in Libia, dove vi rimane circa 7 mesi. Lì riesce anche a lavorare.

Il viaggio
Dalla Libia raggiunge le coste siciliane e sbarca a Messina dopo sette ore di navigazione. Il suo racconto si interrompe perché ricorda i tanti morti nelle traversate. Non ci è dato sapere se sia testimone diretto, se sono racconti di altri immigrati o storie che ha sentito alla tv. Molti, riferisce, vengono riportati indietro dalla polizia perché non possono più pagare e finiscono nei campi di detenzione.

La famiglia
Da Messina, ancora, viene spostato a Catania e dopo qualche mese raggiunge Foggia.
Risponde alle domande per niente infastidito. A volte occorre ripetere la domanda perché anche per lui certe parole restano incomprensibili.
«Perché sei andato via?», gli si chiede.
«La mia famiglia aveva necessità del mio aiuto economico e cosi ho deciso di partire».
«Chi hai lasciato lì?». A questa domanda il suo sguardo sopra la mascherina, che non abbassa mai, si rattrista.
«Mamma, fratelli e sorelle».
«Papà?», chiedo.
«No! Papà è morto. Papà è morto», ripete quasi a convincerci.

La vita a Foggia
«A Foggia ho dormito un po’ ovunque: per strada, dove capitava o in stazione». Ed è proprio lì che lo abbiamo intercettato con i Fratelli della Stazione, un’associazione di volontariato che si occupa dei senza dimora.
Convivendo, però, con una situazione comune a troppi come lui. «Non posso lavorare perché sono senza documenti e senza quelli è come essere invisibili”.

Un “fantasma’ per tutti”, tranne per gli sfruttatori che ricattano tutti gli invisibili per il loro bisogno di rimanere in vita.
Nessuno, infatti, può fargli un contratto.
Anche un’anima generosa che voleva offrirgli un lavoro per la raccolta delle olive nelle campagne del Sanseverese, deve arrendersi per non essere denunciato di sfruttamento.
Diallo ha anche dipendenza dall’alcol che sta cercando di curare con l’aiuto degli assistenti e dei volontari.
Un guizzo di dignità traspare quando racconta di essere ospite al dormitorio dove riceve cena e colazione, ricambio di abiti e la possibilità di farsi una doccia. Dignità restituita dopo averla smarrita ai margine di un marciapiede.
Diallo è un bravo ragazzo catapultato in un mondo che lo ha tradito nelle aspettative di migliorare la sua condizione.
Un mondo che lo ritiene un reietto, un usurpatore, solo perché nato dalla parte sfortunata del mondo, la stessa parte sfruttata dall’Occidente e dagli occidentali.

La prospettiva
«Ma avendo visto come si vive in Europa, ripartiresti dalla tua terra?». E’ la domanda per eccellenza da porre a un migrante. Diallo allarga le braccia e la sua espressione tradisce una sorta di frustrazione. «Io vorrei solo avere i documenti, lavorare e vivere una vita normale. Perché senza i documenti non posso neppure dire di aver vissuto qui». Ovvero: vorrebbe solo non essere più un clandestino e vedersi restituita anche l’identità. Cinzia Rizzetti

(Articolo realizzato all’interno del laboratorio di giornalismo & scrittura creativa presso il “Centro Diurno Il Dono”, finanziato dall’Otto per Mille della Chiesa Valdese).