I comuni italiani “rimandati” sul livello di trasparenza della ‘filiera” della confisca dei beni mafiosi: su 1076 comuni monitorati destinatari di beni immobili confiscati 670 non pubblicano l’elenco sul loro sito internet. Ciò significa che ben il 62% dei comuni è totalmente inadempiente. E di questi, la maggior parte lo fa in maniera parziale e non pienamente rispondente alle indicazioni normative. Il primato negativo in termini assoluti spetta ai comuni del Sud Italia compreso le isole con ben 392 comuni che non pubblicano elenco, segue il Nord Italia con 213 comuni e il Centro con 65 comuni che non pubblicano dati. A livello regionale tra le più “virtuose” Basilicata, Marche, Emilia Romagna, Liguria e Lazio. Tra le regioni meno trasparenti segnaliamo Umbria,Trentino Alto Adige, Abruzzo, Sardegna,Toscana, Veneto, Lombardia e Campania. Per quanto riguarda la Puglia, su 98 Comuni destinatari di beni confiscati alla criminalità organizzata, sono 42 gli enti comunali che hanno pubblicato l’elenco e 56 quelli che non lo hanno fatto, con una media pari al 43% di Comuni “virtuosi”.
Libera presenta “RimanDATI” il primo Report
nazionale sullo stato della trasparenza dei beni confiscati nelle
amministrazioni locali, promosso in
collaborazione con il Gruppo
Abele e il Dipartimento
di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino, primo
appuntamento di una serie di iniziative in occasione dell’anniversario dei
venticinque anni dall’approvazione della Legge 109/96. Il Report di Libera (il monitoraggio
ha avuto inizio nel mese di maggio 2020 e si è chiuso il 31 ottobre 2020) vuole
accendere una luce sulla carente trasparenza e mancata pubblicazione dei dati
dei comuni italiani in merito ai dati sui beni confiscati che insistono nei
loro territori perché sono proprio i comuni ad avere la più diffusa
responsabilità di promuovere il riutilizzo dei patrimoni. «La base di
partenza del lavoro di monitoraggio – spiega Libera – coincide con il totale
dei comuni italiani al cui patrimonio indisponibile sono stati “destinati” i
beni immobili confiscati alle mafie per finalità istituzionali o per scopi sociali.
Il primo dato ricavato dal lavoro di monitoraggio è quello più immediato e
risponde alla semplice domanda: quanti comuni italiani destinatari di beni
immobili confiscati pubblicano l’elenco sul loro sito internet, così come
previsto dalla legge?».
Un approfondimento è stato fatto sulla modalità di pubblicazione
dell’elenco, da cui dipende in maniera sostanziale la qualità dei dati messi a
disposizione. Il formato aperto consente infatti una fruibilità totale da parte
dei cittadini e di chiunque voglia utilizzarli e appare l’unico a rispondere
con coerenza alle disposizioni di legge sul tema della trasparenza. La ricerca
ha evidenziato in maniera piuttosto evidente come la logica degli open data sia
ancora estranea alla stragrande maggioranza degli enti monitorati. Solo il 14% dei comuni (56 in totale) presenta formato
aperto che consente infatti una fruibilità totale da parte dei
cittadini e di chiunque voglia utilizzarli e appare l’unico a rispondere con
coerenza alle disposizioni di legge sul tema della trasparenza. Ben 97 comuni, pari al 24% del totale presenta un PDF immagine (frutto
cioè di semplici scansioni) o totalmente chiuso che sono totalmente inservibile
nella logica ricercabili open data. Il monitoraggio ha riguardato anche altre
informazioni fondamentali sulla vita del bene confiscato: il 35% dei comuni non
specifica tra destinazione istituzionale o sociale, il 17% non specifica
ubicazione. Inoltre il 46% dei comuni non presenta informazioni sulla metratura
o sugli ettari del bene confiscato.
«Il report – commenta Davide Pati, vicepresidente nazionale di Libera –
analizza l’operato dei comuni e ad essi si rivolge: sono loro gli enti più
prossimi al territorio e il primo fronte per l’esercizio della cittadinanza;
potenziare le loro effettive capacità di restituzione alla collettività del
patrimonio sottratto alla criminalità non va inteso solo come l’adempimento di
un onere amministrativo, ma come un’opportunità di “buon governo” del
territorio. Quando riconsegnati alle autonomie locali, i beni confiscati alle
mafie rappresentano una questione eminentemente politica e per deciderne efficacemente
il destino occorre favorire forme innovative di organizzazione sociale,
economica e istituzionale ispirate ai principi della pubblica utilità e del
bene comune. Se questo è vero, ne discende che la conoscibilità e la piena
fruibilità dei dati, delle notizie e delle informazioni sui patrimoni
confiscati non possono che essere a loro volta considerati elementi di primaria
importanza. Ecco – conclude Davide Pati
– perché insistiamo nel ritenere che la trasparenza, anche in questo ambito,
debba e possa essere considerata anch’essa un bene comune, in ciò confortati
dalle previsioni normative del Codice Antimafia, che impongono agli Enti Locali
di mettere a disposizione di tutte e di tutti i dati sui beni confiscati
trasferiti al loro patrimonio, pubblicandoli in un apposito e specifico elenco.
Una previsione ulteriormente rafforzata dalla legge di riforma del Codice, che,
nel 2017, ha introdotto la responsabilità dirigenziale in capo ai comuni
inadempienti. RimanDATI è un forte richiamo alla necessità di dare priorità
all’azione culturale della trasparenza: chiediamo, infatti, che i beni
confiscati diventino sempre di più strumenti di partecipazione democratica e di
coesione territoriale. Le esperienze di informazione, formazione ed
accompagnamento territoriale hanno reso evidente l’importanza di attivare
percorsi di progettazione partecipata e di monitoraggio civico, attraverso il
coinvolgimento dei cittadini e delle realtà sociali».