In una domenica mattina sotto un cielo nuvoloso come a condividere lo stesso stato d’animo, ci rechiamo verso il luogo simbolo dello Stato che ha vinto: Villa Lanza, si trova in zona Salice, tutt’intorno una rigogliosa pianura, ulivi secolari circondano questo bene requisito alla mafia ben 12 anni fa. Rimane però una vittoria incompleta che accompagna, e ha fatto sorgere in questi lunghi anni, molte domande. Domande che si fanno le associazioni, i semplici cittadini e i giovani che, come germogli, si affacciano alla vita sociale nonostante le asperità del terreno. All’immobile confiscato si fa ancora riferimento con il nome di colui che per una coscienza civile dovrebbe cadere nell’oblio. È giusto? È la domanda che mi ronza nella testa, e che mi riprometto di fare a tutti i protagonisti di questo momento associativo.
L’avvocato Federica Bianchi ci parla subito dell’importanza di restituire il bene alla collettività «Ogni Comune ha l’obbligo di comunicare attraverso la propria pagina internet i beni confiscati» riferisce con dovizia di particolari
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«Questo compendio immobiliare ha un servizio di guardiania 24 ore su 24. Chi lo paga? Chi lo gestisce? Chi gestisce le buste paga dei guardiani? Perché tutto questo?», si chiede Dimitri Cavallaro Lioi, presidente dell’associazione Giovanni Panunzio. «Perché abbiamo dovuto aspettare dodici anni affinché ci fosse un bando andato deserto per costituire questa comunità alloggio?» continua. Domande che smuovono le coscienze di tutti perché tutti ci sentiamo responsabili del silenzio che ha avvolto nel suo manto di indifferenza questa vicenda. Le altre domande sono riconducibili a responsabilità dirette delle istituzioni che ci rappresentano: «Devono essere loro davanti a noi e non noi a fare da traino», conclude amaramente l’avvocato Lioi.
Tra Stato e Antistato
A lui succede l’ingegner Pippo Cavaliere, presidente dell’Associazione Antiusura Buon Samaritano. «Il mio appello è che il prossimo 6 novembre noi possiamo ricordare l’omicidio di Panunzio davanti a questa sede che deve essere necessariamente assegnata alla collettività» e sottolinea come quel sito rappresenti l’emblema della contrapposizione dello Stato e l’antistato.
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Come ricorda Daniela Marcone, vicepresidente di Libera, in questo giorno nel 1996 veniva approvata la legge109/96 che stabiliva il riutilizzo sociale dei beni confiscati alla mafia e si aggiungeva come tassello importante alla già legge Rognoni-La Torre. «Fu una vera rivoluzione, colpire i mafiosi nel patrimonio e restituirlo alla collettività. La Torre é stato il primo che ha pensato che potesse essere un’arma sociale potentissima, un’arma di lotta», ricorda con una leggera commozione. «Siamo qui, è importante dirlo, non da soli ma in una rete di associazioni che sempre più spesso collaborano fra di loro» dichiara, sottolineando l’importanza di essere un’unica voce che si eleva nella richiesta di trasparenza e giustizia.
Massimo Monteleone, professore presso il Dipartimento di Scienze Agrarie, lancia il suo monito: «Lì dove vi sono situazioni in cui la mafia ha incancrenito il contesto sociale occorre aprire le porte e rendere questi beni fruibili e utilizzabili da tutti». E ci ricorda l’importanza di essere cittadini monitoranti.

I giovani e la targa
I ragazzi che si susseguono con le loro dichiarazioni ci tengono a far sapere che a dispetto della loro giovane età si impegnano seriamente e attivamente: Samira Carità come rappresentante di Sfoggia e Michele Cera per Link Foggia. Non mancano anche i ragazzi di Ottavia e Unione degli Studenti. La presidente della Società Civile, Lucia Aprile, chiude gli interventi con una “semplice” richiesta: «Qui manca una targa che spieghi esattamente questa struttura, questa targa dovrebbe metterla il nostro primo cittadino a testimonianza che qui lo Stato ha vinto».
Venti di tempesta si addensano su palazzo di città. Il cielo è coperto ma dietro le nuvole si intravedono raggi di cambiamento.
Cinzia Rizzetti
(Articolo realizzato all’interno del laboratorio di giornalismo & scrittura creativa presso il “Centro Diurno Il Dono”, finanziato dall’Otto per Mille della Chiesa Valdese).