«Collaborazione, socialità e territorio»: ecco la scuola dei Maestri di Strada. Intervista a Cesare Moreno

“Senza qualcuno nessuno può diventare un uomo” si cantava qualche anno fa: la scuola, le sue difficoltà e la sua imprescindibile missione risultano un tema di discussione quanto mai attuale. I grandi cambiamenti e le varie sfide che la società odierna pone alla figura del docente assumono contorni ancor più delicati nelle zone a rischio abbandono scolastico. Ne abbiamo parlato con Cesare Moreno, Presidente dell’associazione “Maestri di strada Onlus” e tra i fondatori del progetto Chance (recupero dei dispersi della scuola media), nonché suo coordinatore dal 1998 alla chiusura avvenuta nel 2009. Dapprima insegnante di scuola elementare, Cesare Moreno è stato protagonista di vari progetti nella realtà napoletana, e spesso in collaborazione con il Ministero della pubblica Istruzione, per favorire il recupero e la prevenzione della dispersione scolastica.

Chi sono i maestri di strada?
«Siamo una comunità di educatori, psicologi e docenti che si occupa di svolgere attività educative in riferimento al territorio (quello di Napoli) e non a saperi generali. Le risorse le troviamo strada facendo e ci basiamo sull’incontro con l’altro principalmente: pertanto il nostro bagaglio è leggero, come quello dei senza dimora».

Dove e come agite nel concreto?
«Cerchiamo di incidere nei tre quartieri della zona orientale di Napoli, con accordi con le scuole per portare avanti progetti di didattica attiva, come i laboratori pomeridiano di teatro, pittura, trucco, ciclofficina. Oltre a queste attività per impegnare i ragazzi, i nostri educatori sono presenti nelle classi per renderle delle comunità, per imparare a stare insieme».

Quale mission perseguite? Che tipo di scuola sognate?
«Una scuola educativa e non istruttiva, in cui al primo posto venga la crescita dei giovani, il come affrontare i problemi della vita, una scuola in cui si viva la collaborazione e la socialità al posto della competizione. Inoltre la questione coronavirus può diventare l’occasione per svolgere civismo attivo al posto della sola lezione di educazione civica».

In quest’ottica non crede che le restrizioni e le precauzioni in ambito scolastico possano trasformarsi in minore intraprendenza e maggiore immobilità, fisica innanzitutto?
«Assolutamente no, dipende da chi organizza il lavoro. A me non piace pensare a classi con bambini o ragazzi coperti ed allineati, fermi; si potrebbe fare una scuola diversa: apprezzare la bellezza all’aperto, girare i quartieri, partecipare al coro: i paletti funzionano se li lasci, va trovato il sistema per coinvolgere e vivere i luoghi che non siano per forza dentro la scuola. Noi per esempio in questi giorni abbiamo incontrato 700 genitori, divisi in diversi momenti ma ci tenevamo».

Spesso gli insegnanti sembrano lasciati ad un compito troppo arduo: è ancora immaginabile una scuola che attiri e coinvolga i giovani?
«Il problema è che quasi sempre sono abbandonati a lavorare ed agire da soli. I docenti hanno bisogno di parlare tra loro, elaborare progetti insieme, organizzarsi come gruppo, all’occorrenza anche consolarsi per momenti di frustrazione. Nella nostra associazione esiste una divisione dei ruoli tra chi si trova in seconda linea (riflessione, progettazione, programmazione) e chi si relazione direttamente con gli studenti. Credo che la serenità, la piena salute, la felicità siano elementi fondamentali per poter insegnare al meglio».

Pensa che la vostra esperienza possa essere replicata in altre città con alti rischi per i ragazzi?
«Noi siamo disponibili per formare chi è interessato a riportare il nostro modo di agire in altri contesti ma non siamo interessati a creare un movimento, una struttura centrale. Andiamo avanti soprattutto grazie al privato sociale, al volontariato, noi stessi rinunciamo a stipendi più alti per essere in un numero maggiore e lavorare meglio: non tutte le associazioni sono disposte a fare questo».

Avete mai pensato di coinvolgere i senza dimora nelle vostre attività, in modo analogo a quanto fate con gli studenti?
«No, ma se qualche gruppo che si occupa di senza dimora volesse collaborare con noi sarei entusiasta perché rappresentano una grande risorsa troppo spesso dimenticata. Da soli non avremmo le forze ma insieme sarebbe una nuova ed avvincente sfida».
Andrea La Porta

L’articolo è stato pubblicato nel numero Gennaio-Febbraio 2021 del giornale di strada Foglio di Via sostenuto da Fondazione Vodafone Italia.