Il clamore, i riflettori e i collegamenti in diretta. Persino la rabbia e l’indignazione della comunità. Tutto, ahinoi, ha una data di scadenza, come un brick di latte sullo scaffale di un supermercato.
Tutto, fisiologicamente, scema e viene fagocitato dal ritmo incalzante della quotidianità.
Non tutto, però, merita di essere dimenticato. Non tutto deve rassegnarsi alla giacenza, alla polvere e alla subdola magnanimità dell’oblio.
Tra le pagine più scure del primo trimestre dell’anno nuovo, c’è quella che ha raccontato una storia davvero brutta.
È l’addio a questo mondo di un ragazzo poco meno che trentenne. Il pietoso rito dell’esame del DNA ha stabilito che Marco Ferrazzano, lungo tratturo Sprecacenere, ha consegnato ad un Eurostar in transito la disperazione di una persona sfortunata.
Il retorico esercizio della vicinanza alla famiglia pure ha fatto il suo tempo e, comunque, diciamoci la verità, è inimmaginabile pensare che lenisca lo squarcio in petto che tormenta i suoi cari.
Meglio concentrarsi su ciò che forse può restituire canoni arretrati di dignità a quella comunità che, a giusta ragione, si è indignata per la sua morte.
Tenere viva la consapevolezza di quanto è successo è l’obiettivo minimo. Individuare e punire, e non nell’indifferenza collettiva, responsabili e responsabilità può farci sperare nella non reiterazione di certi scempi. O meglio, nella repressione cinica di potenziali repliche.
Prediche, omelie, post e convegni della classe dirigente e della militanza foggiana possono, in quest’ottica, recarsi altrove. Certi show e la famelica caccia ai ritagli di giornale prenderebbero a picconate la credibilità dell’operazione.
Per la verità e per la giustizia per Marco si lotta e si sta lottando nelle sedi competenti.
L’avvocato Pio Giorgio Di Leo della rete “Penelope” e che difende i famigliari di Marco, al telefono, riferisce di indagini ed approfondimenti in corso.
Procura della Repubblica di Foggia, ipotesi di bullismo e cyberbullismo, con quest’ultima “vigliaccata” inquadrata a norma di legge da dispositivi del 2017. Qualche “bontempone” avrebbe spesso filmato Marco e i suoi video avrebbero popolato la rete e i social. Storia di account rimossi dai cuor di leone della tastiera.
Marco prendeva spesso botte, più di una volta è andato in Pronto Soccorso da solo a farsi refertare. Marco tornava a casa spesso senza cellulare, perché glielo avevano rubato. Marco viveva con la mamma alla quale aveva detto che sarebbe tornato a breve pure quel pomeriggio.
Marco tifava per il Foggia e andava allo stadio. Perché quasi tutti i trentenni di questa città lo fanno. In posta privata, a poche ore da Foggia-Casertana c’è e resta la disperata richiesta di aiuto di un papà che chiede di parlare di Marco in telecronaca, “perché magari qualcuno sa qualcosa o mi sa dire dov’è”.
Chi sa, chi può aiutare le indagini, ha un appuntamento con la dignità.
Per le coscienze, quelle no. Non c’è speranza. Sporche ed agitate rimarranno. Scadute e rancide, come certi brick di latte sugli scaffali di un supermercato.
Antonio Di Donna