Torture, morte, abusi. Se i minori stranieri non accompagnati convivono con il disturbo post-traumatico da stress

di Iole Cocco

«Anche se la vita è il miglior insegnante che si possa avere, non significa che i ragazzi non abbiano bisogno della scuola». E’ da questa riflessione ad “alta voce” che occorre partire per parlare e approfondire il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati (MSNA) che dopo una serie di sfortunati eventi riescono a raggiungere l’Italia e, se non spariscono dai radar o perché fuggono in altri Paesi o perché trascinati nella malavita, vengono accolti e seguiti dalle comunità per minori. Secondo quanto previsto dalla legge di bilancio 2020, il Fondo per l’accoglienza dei minori reca uno stanziamento complessivo pari a circa 166 milioni per il 2021 e 186 per il 2022. Lo scopo di tali fondi sarebbe quello di integrare i minori all’interno della società, garantendogli la conquista di un’indipendenza individuale. Le comunità, infatti, svolgono un ruolo centrale nella vita del minore. In mancanza di una rete familiare e di figure adulte di riferimento, l’equipe di professionisti si offre come una valida alternativa per la formazione, educazione e sostegno dei minori. La figura dell’educatore, del mediatore linguistico e dello psicoterapeuta diventano così indispensabili.

Il disturbo post-traumatico da stress
Non è inusuale infatti, che i ragazzi presentino problemi relativi al disturbo post-traumatico da stress. «E’ del tutto normale» spiega Daniela Diliddo, psicoterapeuta presso la Diocesi di Cerignola e insegnante di Italiano del progetto “Ragazzi Sprint”.  «Molti di loro sono stati torturati, altri hanno visto qualcuno morire, e altri ancora hanno subito abusi» racconta Daniela, condividendo il frutto della sua esperienza diretta con i minori, «e se tutto ciò non lo subiscono nei loro Paesi di appartenenza, lo subiscono sicuramente in Libia, una meta che sono costretti a raggiungere per arrivare in Italia». Traumatizzati e spaesati arrivano in una terra di cui non conoscono la lingua, ed è qui che la figura del mediatore si mostra necessario: «Spesso il mediatore è uno di loro che ce l’ha fatta». Non è difficile intuire che ritrovarsi a parlare con un proprio connazionale che è riuscito a guadagnarsi lo status lavorativo al quale tanto si ambisce è, per alcuni di loro, una spinta motivazionale assurda, che li incita a restare in comunità e non scappare via. Per altri invece, maggiormente per le donne, il mediatore, anzi molto spesso la mediatrice, ha un ruolo differente rispetto a tutti gli altri. « Potrebbe capitare che alcune di loro abbiano subito violenze, e per questo potrebbero avere problemi con le figure maschili. In questo caso è necessario affiancarle a delle mediatrici donne, in modo tale che tramite un rapporto di empatia tra donne connazionali le donne possano sentirsi al sicuro».

L’importanza della scuola e delle immagini
«La presenza di disturbi post-traumatici da stress è visibile anche durante le lezioni, – afferma l’insegnante, – alcuni durante la lezione si assentano mentalmente e appaiono tristi, ed è più comune che capiti alle donne che agli uomini».  Di certo non è stata una vita facile la loro, ed è per questo che «ci sono giorni in cui non hanno neanche voglia di alzarsi da letto, ed altri giorni che non fanno altro che ballare», perché è proprio nelle avversità che si capisce l’importanza della vita, e di sicuro anche della scuola. Molti di loro non hanno mai avuto accesso alla scuola o hanno fatto solo le elementari, per questo si mostrano molti volenterosi di imparare. «A molti di loro non interessa imparare altre lingue o conoscere meglio la loro. Vogliono imparare l’italiano». A questo punto sorge spontanea una domanda: ma come si fa a comunicare con qualcuno che non parla la nostra lingua e non conosce neanche l’inglese? «Tramite immagini – spiega Diliddo – i filmati, video, foto, tutti questi elementi sono necessari per creare un punto d’incontro. Molti di loro frequentano dei corsi serali per imparare l’italiano, sono avvantaggiati in questo, quindi non si fa troppa difficoltà; tuttavia quando qualcuno non capisce si mostrano molti solidali tra di loro e pronti ad aiutarsi».

La ricerca del lavoro e il progetto “Ragazzi Sprint”
La loro forza motivazione è anche sicuramente dettata dalla loro ossessione nel trovare un lavoro per mantenere le proprie famiglie. «La loro priorità è lavorare, – evidenzia Diliddo – e molto spesso si mostrano così volenterosi e abili lavoratori che vengono subito assunti dai loro datori di lavoro». Anche il progetto “Ragazzi Sprint” si offre come una valida opportunità per formare i minori, attraverso il corso per educatori animatori sportivi. Il progetto, diretto a 18 minori stranieri non accompagnati, svolge duplici funzioni , tra queste promuovere l’inclusione sociale e apprendimento della lingua italiana. Le attività sono promosse dall’Ambito Territoriale di Cerignola in Associazione Temporanea di Scopo con la cooperativa sociale Medtraining, Un Sorriso per Tutti, Sportello immigrazione “Stefano Fumarulo”. La Regione Puglia svolge un ruolo di sostegno per chi si trovano spaesato in un Paese straniero, anche in questo periodo così tragico che porta tutti noi a stare lontani. In questo periodo di distanziamento, la formazione, anche se a distanza, è l’unico modo per sentirci vicini e anche se a volte ci sembra poco, forse è perché non ci è mai stato tolto il diritto allo studio. Ma a loro si, per questo ricordiamoci sempre di tenercelo stretto.