Il linguaggio della violenza di genere. Anche le parole possono far male alle donne

di Iole Cocco

L’84% delle donne in Italia ha subito avances non gradite. Il cosiddetto “catcalling”: ma vi siete mai chiesti perché si chiama così? La traduzione letterale evoca l’immagine di una persona che chiama un gattino. Un’immagine carina, se non fosse che lo stesso atteggiamento viene poi proposto con le donne. Non lusinga le donne, le spaventa. Non le fa sentire sensuali, le rende un oggetto di desiderio maschile. La scelta del sostantivo atteggiamento non è casuale. Questo indica la disposizione mentale dell’individuo ovvero come organizza i suoi pensieri e come successivamente questi si orientano in comportamenti. Se si sopprime la superficie del fenomeno e si scende in profondità, ci si rende conto di quanto linguaggio e pensiero siano strettamente correlati. È così che il linguaggio si fa portatore di una cultura patriarcale, ancora presente in Italia.

Espressioni di genere e oggettificazione del corpo femminile
Le espressioni di violenza di genere esistono, e sono radicate nelle espressioni quotidiane. «Non fare la femminuccia» o «sembri una femmina per quanto ti curi» o ancora «non piangere come una femmina», queste espressioni rivolte tipicamente ai maschi non fanno altro che contribuire allo stereotipo per cui le donne sono fragili, delicate, e un uomo dovrebbe essere in grado di sopprimere tali sentimenti. In questo modo il linguaggio si fa portatore di un’idea maschilista che si radica nelle idee degli individui per poi essere riformulate e rigettate contro il genere femminile: «Però, guidi bene per essere una donna» o «avrà fatto carriera grazie al suo corpo». E’ così che un’idea si trasforma in un insulto usato per denigrare la donna. Tali insinuazioni corrompono qualsiasi ambito femminile: amoroso, lavorativo, personale e familiare.

L’idea di inferiorità aiuta a contribuire nell’oggettificazione della donna, soprattutto dal punto di vista sessuale. La società negli scorsi decenni ha collaborato a creare un’immagine iper-sessualizzata del corpo femminile, usandolo per sponsorizzare prodotti o modelli di bellezza a cui affidarsi.  Su questa linea di pensiero si crea l’idea di possessione e vittimizzazione del corpo femminile, che nei peggiori dei casi sfocia in violenza fisica e verbale.

Il linguaggio
«Per quanto la legge italiana sia ampiamente fornita di strumenti per contrastare la violenza contro le donne, questi non bastano – ha detto Adriana Sabato, commissario straordinario del comune di Cerignola, in occasione della presentazione del Centro Antiviolenza “Titina Cioffi” dell’Ambito Territoriale di Cerignola –  . È un fenomeno che affonda le sue radici nella società, è un fatto culturale che è accompagnato dal linguaggio. Il linguaggio delimita i parametri». Delimita i parametri dentro i quali una donna può muoversi. L’uso di insulti sessualizzati da parte di donne contro altre donne è apice dell’affermazione del modello discriminatorio, così ben mimetizzato da non farcene rendere conto. Il falso spirito di protezione maschile si smaschera dalla volontà di eliminare l’indipendenza femminile: «Non lavorare, non indossare quella gonna, non uscire con le tue amiche» sono le frasi che permettono lentamente di isolare la donna dagli altri contesti, in modo tale da possederla totalmente. E proprio come un’oggetto, anche la donna potrebbe subire le ripercussioni causate dalla noia e dalla rabbia del proprio uomo, arrivando alla violenza fisica.

Sostegno delle istituzioni
Il sostegno delle istituzioni si mostra fondamentale per aiutare le donne a riconquistare lentamente la loro autonomia. Il progetto “Tecnico di cucina” che ha come destinatarie donne vittime di violenza, al termine del percorso di formazione teorica e pratica consegna un attestato di qualifica spendibile nel mercato del lavoro. L’iniziativa è promossa dall’Ambito Territoriale di Cerignola in ATS (Associazione Temporanea di Scopo) con Medtraining di Oltre / la rete di imprese, Centro di Formazione ed Orientamento Professionale “Padre Pio”, cooperativa Ferrante Aporti, ed è finanziata tramite l’Avviso Pubblico Discrimination Free Puglia, con cui la Regione Puglia punta alla realizzazione di interventi di contrasto alle discriminazioni di ogni tipo.

Cultura e violenza
Si potrebbe pensare spontaneamente che esista una correlazione che colleghi la violenza alla mancanza di istruzione. Contrariamente a ciò che si pensa, chi fa e chi subisce violenza non ha una fascia d’età o di cultura ben fissa, ma è trasversale, colpisce tutti. Giulia Sannolla, referente della Regione Puglia nel settore della violenza contro le donne, ha affermato che tra le donne che si rivolgono ai centri antiviolenza «la fascia prevalente è segnata da donne con licenza di media inferiore, seguite da licenzia di scuola media superiore e soltanto il 12% di loro ha la laurea».

Verso l’eliminazione dei gap di genere
Negli anni sono sempre di più gli uomini che si battono per l’eliminazione dei gap di genere, contribuendo a valorizzare sempre di più la donna. Tuttavia, c’è ancora un arduo lavoro di cambiamento di prospettiva da mettere in atto, forse non solo verso il genere maschile ma anche verso il genere femminile ormai diventato, in molti casi, portatrice dei gap di genere, accettandoli e enfatizzandoli. Lo svolgimento dei lavori domestici è solo uno dei tanti gap di cui si fanno volontariamente portatrici. Il cambiamento linguistico è certamente un prezioso pezzo di puzzle da inserire all’interno del cambiamento sociale. Si pensi alla declinazione dei nomi al femminile. Avvocata, sindaca, ministra, non sono soltanto portatrici di regole grammaticali che andrebbero applicate, ma anche di un cambiamento culturale. Rinnegare la possibilità di nominare al femminile diversi ambiti professionali significa rifiutare l’idea che le donne sia soltanto relegate allo svolgimento della cura della famiglia.

Sentirsi al sicuro venendo identificate con nomi maschili – direttore d’orchestra anziché direttrice – è l’evidente prova dell’egemonia maschile che si cela dietro il linguaggio. Accettare ed enfatizzare i ruoli femminili che man mano con il corso degli anni si fanno spazio all’interno di quelli che prima erano solo contesti maschili, significa ridare potere all’identità femminile in ambito lavorativo. Un piccolo cambiamento linguistico che potrebbe influenzare la mente umana nella creazione di un pensiero equo, con la conseguente possibilità dell’eliminazione dei gap di genere.