È passato ormai un anno da quando anche l’Italia si è trovata ad affrontare quello che nessuno mai avrebbe immaginato: il Covid 19. Un’epidemia che a livello globale ha mietuto molte vittime e portato cambiamenti radicali nella vita di ognuno. Una situazione del tutto eccezionale per l’umanità intera che ha cercato in qualche modo di far fronte ai nuovi problemi che ha trascinato con sé: vita sociale, lavoro, diritto alla salute, diritto allo studio. A un iniziale smarrimento della chiusura totale si è cercato di porre rimedio con il lavoro da casa per molti, altrimenti detto Smart working, e con la DAD (Didattica a Distanza) per gli studenti di ogni ordine e grado.
Se è vero che questo nuovo metodo di studio ha dato una nuova opportunità, è altrettanto vero che al contempo ha mostrato tutte le sue lacune.
Leggi anche. Dove la realtà bussa, la solidarietà apre: dai foggiani computer per la DAD a famiglie in difficoltà
Bambini e ragazzi costretti a rimanere incollati diverse ore dietro quello che ogni genitore responsabile concedeva solo per poco tempo: pc o smartphone. La pandemia ha anche evidenziato differenze sociali soprattutto nelle famiglie che non hanno strumenti per la DaD o famiglie con tanti figli in età scolare.
La DAD: disastro o opportunità?
«Mi sento sottratta dal mio ruolo di insegnante – ci confida una docente di una scuola media inferiore – e non riesco più a fare lezione come prima. È deprimente dover rincorrere una rete che dà problemi se siamo in tanti a essere collegati. Molto lontano anche dal mio modo di fare didattica, che è invece coinvolgente e partecipativo. Manca inoltre la relazione, lo scambio di opinioni che non possono esserci attraverso uno schermo – la voce si incrina emozionata –, anche da parte nostra le richieste sono un po’ esigenti: io so di chiedere tanto agli alunni ma è la situazione che lo richiede».
Dalle parole della professoressa emerge tutto lo sconforto di non poter ancora beneficiare di una didattica in presenza, seppure siano stati adottati tutti i sistemi di protezione per fronteggiare questa emergenza sanitaria.
«Comprendo la paura delle famiglie ma posso dire che la scuola attualmente è un posto sicuro, tanti sforzi sono stati fatti per mettere in sicurezza il luogo dove si costruisce il futuro dei nostri ragazzi. Nelle aule si formano come persone, come cittadini e accrescono le loro potenzialità anche comunicative». Eppure, la pandemia ha portato a situazioni paradossali: «I ragazzi della prima, ad esempio, non hanno avuto proprio modo di conoscersi». Si profila così una scuola che riesce ancora a trasmettere nozioni ma senza più le giuste emozioni: un «surrogato», così come lo definisce la stessa insegnante che tristemente conclude la sua narrazione.
Tra vuoti ed emergenza sanitaria
Il professor Marco Manduzio, insegnante di matematica anch’egli in una scuola media, manifesta gli stessi pensieri della collega e si apre alle sue riflessioni: «Per me che è il primo anno in questa scuola, lavorare a distanza è stato difficile. Anche se eravamo preparati sin da settembre non ci aspettavamo di fare un altro ciclo nella stessa condizione. Il programma tutto sommato lo abbiamo rispettato, ciò che è mancato è l’approccio diretto, riuscire a capire cosa comprendono gli alunni da una spiegazione».
Ancora una volta le parole descrivono i vuoti che questa emergenza sanitaria ha creato, voragini affettive e relazionali difficili da recuperare soprattutto per chi è più sensibile e fragile, come sottolinea il docente continuando con il suo racconto: «Un ragazzo timido e più insicuro si è chiuso ancora di più. Il monitoraggio si è reso quindi complicato. Prevedendo il protrarsi della situazione ci siamo muniti di tutti i sistemi informatici per continuare la programmazione e anche gli alunni erano più preparati – continua con voce un po’ più rassicurante e propositiva -. Una scuola digitalizzata è comunque qualcosa di positivo, come supporto alla didattica tradizionale che rimane la forma più importante e immediata di comunicazione, rafforzata dai gesti e messaggi non verbali».
DaD (Distanziamento Asociale Duraturo)
La scuola ha la funzione di rendere sociale la vita di ogni ragazzo o bambino, relazioni sospese da oltre un anno tra aperture e chiusure. I ragazzi sono quelli che forse hanno risentito di più di questa coatta situazione eppure si sono mostrati molto responsabili, e anche un po’ hacker. Di corsa davanti al computer per il collegamento, libri e materiale recuperati all’ultimo momento, connessione ballerina, vera o presunta… chi lo sa?! Niente merende condivise, battute, suggerimenti.
Tutto ciò che avveniva in una normale giornata a scuola ora è un ricordo che sembra tanto lontano. «I vantaggi della DAD sono pochi, forse nessuno – ci dice Sofia L. S. che frequenta la terza media –. In presenza non hai timore di chiedere le cose, da casa decidi di non parlare e tenerle per te. Hai anche paura di essere ascoltata da un genitore che passa accanto alla porta della camera. Sei a casa e in qualche modo ti senti condizionato dalla loro presenza anche se distante. A scuola sono libera anche di esternare i miei sentimenti di amicizia e mi manca molto stare con i miei amici – continua mostrando tanta maturità –. Essere inoltre senza pensieri come quella della consegna dei compiti oppure essere fraintesi o non creduti se davvero la connessione non va. Quando sono in classe sono serena, lo sono con i compagni, con i professori e per me la scuola è una seconda casa. Ho trovato nuovi amici che spero di continuare a frequentare, non voglio perderli», conclude palesemente emozionata.
Questa pandemia oltre ad aver portato lutto e dolore, ha sottratto il naturale processo di crescita e relazioni di chiunque ma soprattutto di bambini e ragazzi. Non ci siamo mai accorti dell’importanza della scuola da quando ne siamo stati privati. Non possiamo parlare certo di danni irreparabili pensando ai bambini di altri continenti a cui viene sottratto il diritto allo studio e il diritto di essere bambini, ma di sicuro i segni saranno visibili e percepibili ancora per molto tempo. La DAD è stato uno strumento forse negativo ma necessario.
Cinzia Rizzetti
(Articolo realizzato all’interno del laboratorio di giornalismo & scrittura creativa presso il “Centro Diurno Il Dono”, finanziato dall’Otto per Mille della Chiesa Valdese).