Perché scappano dai loro Paesi? Perché chiedono protezione ad altri Stati, come l’Italia? Chi sono i rifugiati che vengono inseriti nei progetti di accoglienza? Proviamo a conoscere i vari Paesi che rappresentano alcuni dei beneficiari accolti nei progetti SIPROIMI – Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati gestiti dalla cooperativa sociale Medtraining in provincia di Foggia.
Oggi parliamo del Bangladesh.
Il Bangladesh
Quasi il 30% di loro che emigra verso l’Italia ha un livello d’istruzione superiore o universitaria. Si parla dei bengalesi, cittadini dello stato asiatico confinante con l’India. In Bangladesh nonostante l’alto livello di povertà, nel 2017 il 26% della popolazione totale viveva con meno di due dollari al giorno, ad emigrare sono persone che possono permettersi di contrarre un forte indebitamento e l’assunzione di rischi considerevoli, che sono dotati di livelli di istruzione e di formazione professionale al di sopra della media nazionale. Questo è particolarmente vero per le migrazioni in Italia dove circa il 30% è istruito, un dato che contrasta nettamente con quello di migrazioni più strutturate e di carattere temporaneo come quelle dirette verso i paesi del Golfo, dove meno del 3% dei migranti dispone di livelli comparabili d’istruzione.
Chi sono i migranti in Italia
In Italia si individuano due tipologie di immigrati: da un lato i giovani celibi, con un buon livello di istruzione, che vedono nel viaggio migratorio la possibilità di elevare il proprio status (anche se in Italia svolgono spesso lavori dequalificati); dall’altro, uomini meno giovani, con famiglie da sostenere in Bangladesh. Nonostante l’alto livello di bengalesi in Italia, questi non hanno tutti le stesse esperienze migratorie. E’ possibile delineare almeno 3 possibili traiettorie migratorie, ognuna delle quali richiede un diverso dispendio di risorse economiche, riproducendo la stratificazione sociale dei probashi (diaspora bengalese): la prima e la più percorsa prevede l’attraversamento della Russia e dell’Europa orientale; una seconda attraversa il nord Africa, la Libia e il Mediterraneo e una terza passa dalla Turchia, dalla Grecia e dai Balcani
Ma, prima di tutto, cosa spinge i bengalesi ad emigrare?
Il Bangladesh è un Paese in via di sviluppo, con un tasso di incremento annuo del PIL pari al 6% e rappresenta una delle economie più dinamiche dell’Asia sudorientale, ma questo non è abbastanza per contrastare l’abbondante povertà causata principalmente dal costante rischio di inondazione e inquinamento delle terre, che sono la principale fonte di guadagno insieme alla pesca. Questo ecosistema altamente imprevedibile è peggiorato negli ultimi anni con lo scioglimento dei ghiacci dell’Himalaya che hanno reso più impetuosi i bacini idrici. A questo si affianca la maggior forza e frequenza delle tempeste che flagellano la costa e che causano continuamente la distruzione delle risorse di acqua dolce e delle terre fertili costiere, inquinate dai detriti o dall’acqua salata spostata dai cicloni. Un altro motivo che spinge i bengalesi ad emigrare è la presenza della retorica populista di molti partiti politici che hanno cercato di rafforzare il loro consenso premendo sull’identità musulmana del Bangladesh e su una malcelata xenofobia. In Bangladesh, esattamente come negli altri Paesi dell’Asia Meridionale, convivono centinaia di identità diverse, basate sulle differenze etniche, culturali e religiose tra gruppi di popolazione. Questi fattori fanno sì che il Bangladesh sia uno dei Paesi con il più alto tasso di immigrazione.
Migrazione e prestiti
Nel processo migratorio, i bengalesi non sono soli. Molte organizzazioni, vista la cronicità dei problemi che affliggono il Bangladesh, hanno iniziato a creare dei piccoli fondi da concedere ai migranti. I prestiti chiamati migration loan, sono micro crediti “per facilitare l’emigrazione all’estero” elargiti dalla Brac (Bangladesh Rural Advancement Commitee), la più grande Organizzazione non governativa al mondo, che ha raggiunto un fatturato di 943 milioni di dollari nel 2018, che può vantare di 11 sedi nel mondo. L’organizzazione bengalese è finanziata principalmente dal governo britannico (Dipartimento per lo sviluppo internazionale, Dfid) e da quello australiano (Dipartimento per gli affari esteri e il commercio, Dfat) ) attraverso una vera partnership strategica che ha lo scopo ufficiale di ridurre la povertà. La Brac riceve finanziamenti anche dall’Unione Europea, dall’agenzia governativa statunitense Usaid, dal governo olandese, dal governo danese, dalle agenzie delle Nazioni Unite (Unicef e Unhcr) e dal Qatar, nonché dalle Ong “The Global Fund” (finanziata anche dalla fondazione di George Soros) e Gain, e dalle fondazioni “Educate a child” (fondata dalla madre dell’attuale emiro del Qatar) e “Bill & Melinda Gates Foundation”.
Tra micro crediti e tratta degli esseri umani
Attraverso la Brac Bank, l’organizzazione bengalese concede micro crediti che non sono prestiti a fondo perduto, ma un vero sistema di finanziamento che concerne anche la restituzione di quanto ricevuto per emigrare. Succede, però, che una parte dei migration loan finiscono nelle tasche dell’organizzazione criminale della tratta di esseri umani. Queste organizzazioni costruiscono illegalmente il processo migratorio, talvolta condotto in modo disumano, attraversando il confine orientale, successivamente all’atterraggio in un aeroporto dell’Egitto . Tutto ciò è causato dalla negligenza dei governi e delle organizzazioni che finanziano la Brac. Nessun controllo e salvaguardia sono forniti dalla Brac ai beneficiari dei prestiti che si avventurano nel viaggio verso l’Europa e l’Italia. Infatti, è noto che i bengalesi sbarchino in Italia clandestinamente dopo essersi imbarcati sui barconi della morte dei trafficanti in Libia. Ma perché i governi sono così poco interessati a come i loro soldi vengono gestiti?
di Iole Cocco