Ho incontrato, la prima volta, Daniela Marcone da giovane studente quando fece una testimonianza presso il mio liceo e rimasi molto colpito dalle sue parole così dense di dolore, ma anche forza e convinzione nel parlare dell’omicidio di suo padre – Francesco Marcone – e della lotta alla mafia. Oggi Daniela Marcone è Vicepresidente nazionale di Libera e referente del Settore Memoria. Intervistarla adesso, dopo qualche anno, mi ha dato la possibilità di riscontrare ancora quelle emozioni miste ad un impegno, forse addirittura maggiore, nell’occuparsi affinché, anche attraverso la memoria delle vittime innocenti di mafia, si possa fare verità e giustizia.
Come e perché libera si occupa di memoria
Questa
volontà nasce dall’intera rete di Libera e dalla volontà di Saveria Antiochia,
madre di Roberto Antiochia, giovane poliziotto ucciso il 6 Agosto del 1985
dalla mafia, di raccontare le storie delle vittime innocenti di mafia e dal
voler spiegare che la mafia non esisteva solo in Sicilia. Importante fu anche
l’incontro che ebbe don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di Libera, con la
mamma di Antonio Montinaro nel quale riscontrò il dolore della donna nel non
sentire menzionare il figlio come singolo uomo bensì come «gli uomini della
scorta di Giovanni Falcone». E così il 21 marzo del 1996, a Roma, ci fu la
prima giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti
delle mafie. Una memoria, come Daniela Marcone tiene a sottolineare, non fine a
sé stessa bensì mossa da un duplice obiettivo ovvero il «diritto al ricordo che
è insito al diritto al nome, un diritto di natura etica e non civilistica» e
dall’altro lato costruire ed entrare in rete con i familiari delle vittime
innocenti delle mafie garantendo una costruzione della memoria. E costruendo la
memoria collettiva, partendo dalla storia individuale, «è come se si
ricostruisse la verità, la verità storica, contestuale, geografica, sociale di
quella storia. È quindi una vicinanza non solo a parole ma anche nei fatti in quanto,
quasi l 80% non conosce una verità giudiziaria completa o quanto meno parziale».
E così, ogni 21 marzo, vengono ricordati tutti i nomi delle vittime innocenti.
E ciò avviene attraverso «una memoria viva, che non parte dalla morte ma dalla
vita. E ricordandone le esistenze, noi suggeriamo la possibilità di un
cambiamento. Noi vogliamo ricordare i loro sogni. Sogni che camminano con le
nostre gambe e proseguono per costruire un mondo più giusto. Ciò che ci
suggerisce la memoria delle vittime innocenti è proprio l’impegno per un mondo
più giusto, più democratico, più solidale». E affinché tutto ciò sia possibile
la rete di Libera si impegna in attività e progetti che suggeriscano la
speranza e diano la possibilità di compiere le scelte giuste nelle nostre vite.
Il ruolo delle madri
Visitando il sito vivi.libera.it, nella sezione i numeri della memoria, mi son balzati agli occhi due dati: 113 minori e 93 donne uccisi per mano delle mafie. Sorge spontaneo, allora chiedere a Daniela Marcone il peso delle madri. «Non dimentichiamo che la donna ha avuto sicuramento un ruolo molto importante in quanto loro, all’interno delle famiglie mafiose, sono coloro che tramandano il codice culturale, lo insegnano ai bambini sin da quando sono piccoli. Ma noi conosciamo anche la storia di donne che, invece, hanno deciso di collaborare con la giustizia. E collaborare ha un significato altissimo all’interno della lotta alle mafie. Da queste storie nasce la riflessione sulla loro importanza e su quanto sia fondamentale allontanare i minori che crescono in quelle famiglie. Perché allontanandoli si darebbe loro un’altra possibilità. La possibilità di non essere eredi all’interno dei clan e avere l’opportunità di avere un’altra vita, una vita migliore».
1961, ma perché?
Durante l’intervista Daniela Marcone mi spiega che per lo stato italiano la condizione di vittima innocente di mafia esiste per tutte quelle persone che son state uccise dal 1 gennaio 1961. In realtà le norme a sostegno delle vittime innocenti di mafia sono state mutuate dalle norme a sostegno delle vittime del terrorismo. Nel 1961, degli avieri italiani furono trucidati a Kindu, in Congo, e a partire da tale anno vengono riconosciute, come tali, le vittime per mano delle mafie. Ma, attraverso varie ricerche messe in atto da Libera, questa data è stata sconfessata. «Negli anni ‘40 e ‘50 del ‘900 ci sono sindacalisti uccisi poiché tutelarono i lavoratori che si scontrarono con le famiglie mafiose. Le loro famiglie ci hanno aperto gli occhi sulle problematiche della legge italiana che non riconosce loro lo status di vittime innocenti di mafia». Non solo Daniela Marcone fa altri tre nomi: quello di Emanuele Notarbartolo, Giorgio Verdura e Anna Nocera. Tre persone uccise, per mano della mafia, nella seconda metà del ‘800. È per loro, anche per loro, che Libera si batte e chiede al legislatore di togliere il limite temporale del 1961. Una richiesta portata avanti da oltre 10 anni ma che per ora è inascoltata. Quel che è certo, però, è che le vite delle vittime innocenti ci insegnano quanto le mafie facciano schifo. È per loro, per le lacrime versate dai loro cari che noi tutti dobbiamo impegnarci affinché possa esistere la giustizia sociale.
Alfonso Di Gioia
L’articolo è stato pubblicato nel numero Marzo-Aprile 2021 del giornale di strada Foglio di Via sostenuto da Fondazione Vodafone Italia.