“Posto, ergo sum”. Una riflessione sull’uso esagerato dei social per parlare di qualsiasi argomento

Con l’avvento dei Social come Facebook, Twitter ed altri e con la loro diffusione ormai ad ogni livello grazie alla facilità di accesso al digitale, la nostra società va sempre più configurandosi come quella dell’apparire piuttosto che quella dell’essere.
Il “cogito, ergo sum” di Cartesiana memoria, oggi è diventato “posto, ergo sum”. Ed ecco allora, una profusione di post sui social, su qualsiasi argomento, dal più frivolo a quello più “impegnato”. Un proliferare di citazioni, aforismi e quant’altro. Di pensieri spesso fini a se stessi, di racconti della propria giornata, con dovizia di particolari, dei quali si sarebbe potuto fare a meno.

E poi moniti, raccomandazioni, insegnamenti di vita e di comportamento, il più delle volte, disattesi, in primis, da chi li posta con l’ostentata convinzione di poter dare giudizi erigendosi a maestri e modelli di virtù e di saggezza. Quando avvengono le tragedie nel Mediterraneo con centinaia di migranti che annegano, quando sono i bambini ad annegare ed i corpi di questi ultimi, sospinti sulle spiagge dalle onde, rimangono esposti per giorni senza che la necessaria pietà dia loro sepoltura, allora migliaia di post indignati, commossi e accompagnati da emoticon piangenti e adirati, riempiono i social.

Tutto questo dura però solo per un paio di giorni, tre o quattro al massimo. Poi si ritorna a postare l’ultimo abito acquistato, la ricetta per fare i dolci senza lievito e il metodo naturale per regolarizzare l’intestino. Ma i migranti continuano a morire tutti i giorni. Muoiono nel fisico e nello spirito ogni minuto, ogni ora. Muoiono nei lager libici. Muoiono nella crudele e colpevole indifferenza di tutti coloro che voltano lo sguardo dall’altra parte. Come ogni giorno muoiono migliaia di bambini in Siria, nello Yemen, nei paesi dell’America Latina e in tutti quei luoghi dove guerre assurde, interessi economici e odio razziale, hanno preso il posto della necessaria pietà, dell’amore verso gli altri e dell’umanità che dovrebbe contraddistinguerci in quanto uomini, esseri umani.

Nessun post o quasi per i bimbi dello Yemen. Nessun post per bimbi delle favelas brasiliane. Nessun post per i bimbi del Perù e potrei continuare ancora. Occorre tenera alta la soglia dell’attenzione su tutte quelle tragedie che spesso volutamente ignoriamo. Su quelle tragedie, molte volte figlie anche dell’indifferenza, che non hanno lì attenzione dei media se non quando lambiscono il nostro vivere quotidiano in qualche misura. Ma la cosa più importante e che alla rabbia, vera o di facciata, all’indignazione, alla commozione “virtuale”, deve necessariamente seguire l’azione. È importante che si dia forma tangibile, ognuno nel suo piccolo, ai buoni propositi enunciati sui social. È necessario porre in essere, anche con i propri comportamenti quotidiani, un ciclo virtuoso che metta al bando quello che io ritengo il peccato più grave oggi e cioè l’indifferenza, ritornando a dare importanza all’”essere” piuttosto che all’apparire.
Ruggiero di Cuonzo

(Articolo realizzato all’interno del laboratorio di giornalismo & scrittura creativa presso il “Centro Diurno Il Dono”, finanziato dall’Otto per Mille della Chiesa Valdese).