Arrivano da Bangladesh, Costa d’Avorio, Gambia, Nigeria, Marocco, Libia. Arrivano con in tasca il sogno di un futuro migliore rispetto alla vita che hanno lasciato nel loro Paese di provenienza. Si portano dietro storie di sofferenze, di diritti negati, di dolore. Scappano per sfuggire a guerre, violenze, persecuzioni. Molti di loro conservano ancora negli occhi la paura del viaggio per arrivare in Italia, cicatrici fisiche e psichiche così profonde che impiegheranno degli anni per andare via, ma in alcuni casi non spariranno neanche con il tempo. Il 20 giugno si celebra la “Giornata Mondiale del Rifugiato”, appuntamento annuale voluto dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione di rifugiati, richiedenti asilo e sfollati nel mondo, costretti a lasciare i propri affetti, la propria casa e tutto ciò che un tempo era la loro vita per cercare salvezza in un altro Paese.
Secondo l’ultimo rapporto annuale “Global Trends” pubblicato dall’UNHCR Italia – Agenzia ONU per i Rifugiati, sono 82,4 milioni le persone in fuga da guerre, violenze, persecuzioni e violazioni dei diritti umani. «Dietro ogni numero c’è una persona costretta a lasciare la propria casa e una storia di fuga, di espropriazione e sofferenza. Meritano la nostra attenzione e il nostro sostegno non solo con gli aiuti umanitari, ma con soluzioni alla loro situazione», ha detto l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi. Il rapporto rileva anche come al picco della pandemia nel 2020, oltre 160 Paesi avevano chiuso le loro frontiere, con 99 Stati che non facevano eccezioni per le persone in cerca di protezione. Eppure, con misure adeguate – come screening medici alle frontiere, certificazione sanitaria o quarantena temporanea all’arrivo, procedure di registrazione semplificate e colloqui a distanza – sempre più paesi hanno trovato il modo di garantire l’accesso all’asilo cercando, allo stesso tempo, di arginare la diffusione della pandemia. Mentre la gente continuava a fuggire varcando i confini, altri milioni di persone sono state costrette alla fuga all’interno dei loro stessi Paesi. Alimentato soprattutto dalle crisi in Etiopia, Sudan, paesi del Sahel, Mozambico, Yemen, Afghanistan e Colombia, il numero di sfollati interni è aumentato di oltre 2,3 milioni.
Anche per questo, l’UNCHR esorta oggi i leader mondiali ad «intensificare gli sforzi per promuovere la pace, la stabilità e la cooperazione, al fine di fermare e iniziare a invertire la tendenza che vede crescere il numero di persone costrette alla fuga da violenza e persecuzione da quasi dieci anni».