«Per costruire una comunità sana bisogna denunciare la mafia». La storia di Lazzaro D’Auria, l’imprenditore stanco di sentirsi chiamare eroe

Lazzaro D’Auria è stanco di sentirsi chiamare eroe. La sua è una storia che parte da lontano. Ci troviamo a Foggia, nel 2014, e Lazzaro D’Auria è titolare di diverse aziende operanti nel mondo agricolo. A partire da quell’anno e a finire al 2016 inizia ad avere delle prime blande pressioni, per far avere degli «omaggi ad alcuni detenuti». Omaggi che furono sempre negati. Nel 2015, intanto, avviene un accadimento molto importante. D’Auria acquista dei terreni, dal Comune di Foggia, nella zona Incoronata, dopo che le prime aste erano andate deserte. Quest’acquisizione fu vista come uno smacco e gli fu chiesto di lasciare quei terreni. Anche questa richiesta fu rigettata.

E così si giunge al gennaio del 2017. Mentre D’Auria, in auto, procede verso i terreni dell’Incoronata, si vede inseguire da una Alfa Romeo scura che gli intima di fermarsi. Lui si ferma, pensando che quella macchina appartenga alle forze dell’ordine. Ma si sbaglia. A bordo di quell’auto ci sono dei malviventi, a volto coperto, che gli intimano, anche dandogli degli schiaffi, di lasciare quei terreni e, qualora non l’avesse fatto, lo minacciando dicendogli che avrebbero incendiato una delle loro aziende. Dopo questo episodio D’Auria fa una prima denuncia.

Due terribili episodi
Vi furono altri incontri, a cui seguirono altre denunce, con questi malviventi. In tutti questi incontri in cui gli fu chiesto di pagare loro un pizzo di 200.000 euro l’anno. Le richieste furono sempre rigettate. Ma avvengono altri due episodi molto forti. Un uomo, un ex detenuto, che aveva deciso di cambiare la propria vita, lavorando onestamente presso di lui e provando ad avere una vita dignitosa, fu ucciso nei pressi di un’area di servizio sulla tangenziale di Foggia. Un altro episodio che segnò particolarmente Lazzaro avvenne mentre si trovavo in campagna. Era lì per controllare dei campi di pomodori quando vide arrivare diverse auto con a bordo una decina di uomini. Questi scesero dalle macchine e si precipitarono da lui, armati, intimandolo di pagare il pizzo che D’Auria aveva loro negato sino a quel giorno. Fra le persone che minacciarono D’Auria c’erano il boss del clan Moretti e quello del clan La Piccirella.

La scelta
D’Auria in più momenti, durante l’intervista, si emoziona e avverto la tensione mentre mi racconta la sua storia. Mi ha parlato di minacce subite, della morte di un suo operaio e delle varie denunce effettuate. Ma giunti a questo punto, avverto forte in lui l’orgoglio. Mi racconta che in un primo momento, essendo molto scoraggiato, aveva deciso di cedere, vendere le sue aziende sul territorio, e andare via, lontano da Foggia. Ma questa cosa fu avvertita dai suoi dipendenti. Alcuni tra loro «iniziarono a dirmi Lazzaro ma se tu chiudi come facciamo noi ad andare avanti? Noi non riusciamo a portare avanti le famiglie. Io e mia moglie lavoriamo con te. Oltre che per loro a me sarebbe dispiaciuto abbandonare tutto ciò che ero riuscito a costruire dopo averci impiegato quasi 25 anni. Gli chiedo cosa lo spinse a non cedere alle minacce subite e a testimoniare contro i clan mafiosi della zona. E qui la sua risposta è molto passionale. «Un individuo deve denunciare perché, se tante persone denunciano, si viene a creare un nuovo modo di vivere. La città di Foggia, tantissimi anni fa era una città ambita. Tanti anni fa la gente correva per venire a vivere qui. Ora la gente, invece scappa da Foggia per il malessere che si è venuto a creare. E poi credo che chi denunci trovi, in qualche modo, la strada giusta per rifarsi e per far crescere la propria azienda. Perché chi non denuncia, fa entrare in qualche modo la mafia all’interno della propria attività. E una volta che ciò avviene, questa diventerà proprietaria della stessa. E invece denunciando tu entri a far parte di una comunità sana e puoi essere aiutato dal nuovo modo di vivere della popolazione stessa. Io conosco diverse persone che hanno denunciato e i clienti, hanno colto questo loro gesto e li premia andando da loro. Non dimentichiamolo, la delinquenza porta povertà, nient’altro».

Come ripartire
Qui D’Auria mi risponde in maniera molto decisa. Bisogna ripartire puntando sull’educazione sin dalla giovane età. «C’è bisogno che le istituzioni scolastiche insegnino ai ragazzi l’importanza della legalità. È importante che a scuola insegnino che gli esempi da seguire sono i Marcone, i Panunzio. C’è bisogno che si allontani dalle persone il pensiero che la mafia sia un male comune. La mafia non è un male comune. La mafia è monnezza e va allontanata in qualsiasi modo ed estirpata in qualsiasi modo. Ci vorrà impegno e tempo, probabilmente ci vorranno anni per poterla distruggere ma solo denunciando e puntando sui giovani e la legalità, si potrà avere un mondo più pulito e giusto». Sono molto contento di aver avuto la possibilità di intervistare Lazzaro. Ho ricevuto da lui un forte messaggio di speranza e di incoraggiamento che spero riesca a passare attraverso questo articolo. Questo mondo si può cambiare se tutti noi, insieme, decidiamo di ribellarci e ci impegniamo quotidianamente per la legalità e consegnare
Alfonso Di Gioia

(questo articolo è stato pubblicato nel numero Maggio-Giugno 2021 del giornale di strada Foglio di Via sostenuto da Fondazione Vodafone Italia).