«Nessuno di chi dorme per strada lo vuole
effettivamente. Ho lasciato la strada quando qualcuno mi ha dato un mazzo di
chiavi e mi ha detto che quella era la mia casa». Elda Jesus Coimbra è una
senza dimora portoghese. Ha portato la sua voce e la sua testimonianza lo
scorso 21 giugno a Lisbona, durante la conferenza della Presidenza portoghese
del Consiglio dell’Unione europea “Combatting homelessness – A priority for
Social Europe”, l’incontro nel quale i leader europei hanno firmato la
Dichiarazione di Lisbona sulla lotta al fenomeno dei senzatetto e lanciato la
Piattaforma europea denominata “European Platform to Combat Homelessness”.
Perché la testimonianza di Elda e quella di altre persone senza dimora che
hanno vissuto l’esperienza dell’Housing First o dell’Housing sociale, racconta
che è possibile venire fuori dalla povertà, dalla strada, dall’emarginazione.
Serve tanta forza di volontà, certo, ma servono anche visioni politiche di
inclusione sociale e la capacità da parte delle Amministrazioni locali di saper
sfruttare al meglio le risorse che l’Unione Europea mette a disposizione degli
Stati per fronteggiare il fenomeno.
Uno
Stato di clochard
Perché quello dei senza dimora è come un piccolo Stato
disperso all’interno dei 27 Paesi dell’UE. Secondo gli ultimi dati, infatti,
sono circa 700mila le persone che in Europa non hanno un tetto e dormono per
strada, nelle stazioni, sulle panchine, nei palazzo fatiscenti. Un numero che
nell’ultimo decennio è cresciuto del 70%. Perdita del lavoro, covid-19, disoccupazione,
separazioni dal proprio coniuge, disagi psichici, fragilità sociali, gioco d’azzardo,
dipendenze, fughe dal proprio Paese a causa di guerre, violenze, persecuzioni. Sono
davvero tanti i fattori che determinano la caduta di un essere umano – uomo o
donna, italiano o migrante – verso l’invisibilità, la povertà assoluta,
l’emarginazione. Basta farsi un giro per dormitori, mense per i poveri,
casolari diroccati, stazioni ferroviarie. Per questo, le istituzioni europee e
gli Stati membri hanno ufficialmente deciso di mettere fine a quella che, nelle
parole di Nicholas Schimdt, commissario europeo per il lavoro e i diritti
sociali, è «la forma più estrema di esclusione sociale». La sfida è ambiziosa:
zero persone senzatetto entro il 2030 nell’Unione Europea. Per raggiungere
questo utopico risultato sono tante le misure da mettere in campo: politiche
giovanili, reddito, edilizia sociale, sicurezza sociale, diritto del lavoro e
integrazione. La piattaforma attivata a livello europeo, quindi, ha tre
obiettivi: condividere le esperienze per imparare le buone pratiche gli uni
dagli altri; definire come utilizzare al meglio le risorse finanziarie
esistenti, sia quelle previste dal “recovery and resilience plan”, ma anche le
risorse disponibili con il Fondo sociale europeo Plus e il Fondo europeo di
sviluppo regionale; migliorare la raccolta di dati e prove, su cui improntare
le decisioni e creare sinergie.
I
Servizi Sociali di Foggia dormono
Le autorità nazionali, regionali e locali non si devono però sentire escluse da questo percorso, perché dovranno «promuovere iniziative di prevenzione dei senzatetto» in particolare sul fronte dell’accesso ad alloggi stabili e servizi di supporto riabilitanti. Questioni su cui da sempre il Comune di Foggia – ed in particolare i Servizi Sociali – sono completamente assenti, morti, incapaci di programmare interventi. Basti pensare che nel campo dell’accoglienza dei senza dimora a Foggia non è mai entrato in funzione un Piano di Emergenza Freddo, un Piano Anticovid o un’apertura h24 di qualche struttura di accoglienza come invece è accaduto in tante città italiane. Ed è inutile parlare di Housing First ai Servizi Sociali del Comune di Foggia, perché non sanno neanche cosa voglia dire e l’aspetto più preoccupante è che non immaginano neanche di informarsi – come viene richiesto in tutta Europa – per attivare il servizio di contrasto alla marginalità adulta. L’Housing First prevede che le persone con anni di vita in strada o a serio rischio di perdere l’abitazione o finite improvvisamente per strada, ricevono dai servizi sociali territoriali l’opportunità di entrare in un appartamento autonomo “senza passare dal dormitorio” godendo dell’accompagnamento di una equipe di operatori sociali direttamente in casa. L’esperienza sta dimostrando che in 8 casi su 10 la persona esce dall’isolamento, stabilizza il proprio benessere psico-fisico, si prende cura della propria salute, si impegna in attività (anche piccoli lavori), di svago ed in molti casi riprende i legami con familiari e amici. Ma per fare questo, servono lungimiranza, volontà politica e capacità di intervento. Tutti requisiti oggi assenti presso i Servizi Sociali di Foggia che probabilmente, se continua così, nel 2030 rischia di essere l’unica città a perdere in Europa la sfida #homelessnesszero. Per saperne di più, date un’occhiata a: housingfirstitalia.org.
Emiliano Moccia
(questo articolo è stato pubblicato nel numero Luglio-Agosto 2021 del giornale di strada Foglio di Via sostenuto da Fondazione Vodafone Italia).



