23 maggio 1992. Ore 17.58. L’auto su cui viaggiano il giudice Giovanni Falcone e sua moglie Francesca Morvillo viene fatta saltare in aria da 500 kg di tritolo sull’autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci, a pochi chilometri da Palermo. Nell’attentato messo in atto da Cosa Nostra perdono la vita anche Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani. Sono gli uomini che della sua scorta, che gli restano sempre al fianco. Sono gli uomini della «Quarto Savona Quindici», il nome in codice della squadra cui era assegnata la tutela di Giovanni Falcone. Qualcuno li ha definiti eroi perché coscienti di rischiare la vita in ogni momento. Noi preferiamo pensare a loro come uomini normali al servizio dello Stato e della collettività. Come fa dire, Bertold Brecht, ad un un testimone del processo a Galileo Galilei nella sua Opera Vita di Galileo: Sciagurato quel popolo che ha bisogno di eroi.
Grazie al progetto promosso dall’Associazione “Nomeni, per Antonio Montinaro” quel che resta della Croma blindata color avio su cui viaggiavano Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani gira per i territori custodita in una teca. Resta poco, quasi niente della “Quarto Savona Quindici”. Un’auto accartocciata, distrutta dalla massiccia carica esplosiva, che restituisce a chi la guarda un numero ancora ben visibile: 100.287. Sono i chilometri percorsi sino a quel tragico momento dall’auto in cui si muovevano i tre uomini della scorta. L’auto continua a “camminare” per sensibilizzare i territori e le giovani generazioni a combattere contro la mafia, contro la cultura mafiosa, e per non dimenticare la strage di Capaci. La “Quarto Savona Quindici” fece tappa anche a Foggia nel maggio del 2016.
Ed oggi, nel giorno del 28° anniversario della strage di Capaci, arriva anche il ricordo del presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «La mafia si è sempre nutrita di complicità e di paura, prosperando nell’ombra. Le figure di Falcone e Borsellino, come di tanti altri servitori dello Stato caduti nella lotta al crimine organizzato, hanno fatto crescere nella società il senso del dovere e dell’impegno per contrastare la mafia e per far luce sulle sue tenebre, infondendo coraggio, suscitando rigetto e indignazione, provocando volontà di giustizia e di legalità». Per Mattarella, quindi, «i mafiosi, nel progettare l’assassinio dei due magistrati, non avevano previsto un aspetto decisivo: quel che avrebbe provocato nella società. Nella loro mentalità criminale, non avevano previsto che l’insegnamento di Falcone e di Borsellino, il loro esempio, i valori da loro manifestati, sarebbero sopravvissuti, rafforzandosi, oltre la loro morte: diffondendosi, trasmettendo aspirazione di libertà dal crimine, radicandosi nella coscienza e nell’affetto delle tante persone oneste».
Ruggiero Di Conzo ed Emiliano Moccia