La nostra “normalità”: perché cercare sempre un colpevole? – pensieri senza dimora

Questo è il primissimo articolo che scrivo per un giornale. E prendo innanzitutto spunto dal sommario del numero di gennaio-febbraio di ‘Foglio di Via’ per fare l’augurio più grande per tutti: quello di uscire quanto prima da questa situazione di assurda precarietà a cui nessuno si è abituato (e forse non ci si abituerà mai).  

La volontà è chiaramente di tornare alla nostra “normalità”, senza vergogna e alcun imbarazzo, con la mia storia che, ahimè, sarà di certo comune a molti. Perché è bruttissimo dover toccare il fondo tante volte e risalire diventa sempre più difficile. È come scivolare in un pozzo, un po’ come la vicenda di Alfredino Rampi, il bimbo di sei anni, la cui storia commosse l’opinione pubblica di tutta Italia lasciando incollate alla diretta Rai tantissime persone e che ebbe un epilogo tragico, perché sappiamo tutti purtroppo come finì.  

E allora è necessario rasentar la strada e mettersi nei panni di chi la strada la vive nel quotidiano. E sperare sempre di non diventarne anche tu protagonista ma risalir la china, una volta per tutte. La speranza è l’ultima a morire, ci mantiene sempre vivi, ci manda avanti insieme alla nostra gioia.

E poi, perché cercare un colpevole?

Ci tenevo a sottolineare che non è affatto una colpa il fatto che siam caduti in miseria, in questa spiacevolissima condizione. Ma a volte, chissà perché, bisogna trovare a tutti i costi un colpevole. Ma perché? La colpa di cosa?

Non basta forse, già, come ci sentiamo per stare abbastanza male? Fin troppo facile puntare il dito per chi non cammina i nostri passi. È proprio vero che il sazio non crede al digiuno. Non sempre c’è una seconda possibilità, non sempre c’è una seconda scelta. Non sempre, non tutti preferiscono star per strada, per loro scelta o perché giustamente non vogliono dare fastidio ai parenti.

Ci sono anche altre realtà. Vedevo il programma “Invisibili”, su Italia 1. E riflettevo sul fatto che se ci fossero state più donne senza fissa dimora, dal momento che ci sono pochissime strutture disposte ad accoglierle per dormire a parte casi molto particolari, dove andrebbero al freddo? Finché arriva la sera…

Ecco perché vogliamo tornare a far le madri anche se ci vergogniamo da matti e non vorremmo mai dare ulteriori preoccupazioni ai figli, che stanno pagando per errori non loro.
Articolo realizzato all’interno del laboratorio di giornalismo & scrittura creativa presso il “Centro Diurno Il Dono”, finanziato dall’Otto per Mille della Chiesa Valdese