A pochi chilometri da Foggia, in via Manfredonia al km 2,1, nella suggestiva cornice di Masseria Antonia De Vargas (Fondazione Siniscalco Ceci), il 3 giugno Leonardo Palmisano presenta il suo ultimo libro, “Chi troppo vuole”.
Chi è Leonardo Palmisano.
Scrittore e sociologo, presiede la cooperativa Radici Future Produzioni ed è vicepresidente nazionale di CulTurMedia di LegaCoop.
Le sue numerose inchieste e pubblicazioni, fra le quali: Ghetto Italia (Fandango, 2015), Mafia Caporale (2017) e Ascia nera (2019) hanno portato all’attenzione pubblica l’intreccio delle infiltrazioni mafiose nella politica e nell’economia del Paese.
Esperto di lavoro e criminalità organizzata, si è formato lavorando sulla tematica del traffico di migranti in Nord Africa. Dopo la pubblicazione di un suo articolo su presunti legami tra la mafia garganica e quella nigeriana per la gestione della prostituzione e lo spaccio di droga nel Nord della Puglia, ha ricevuto minacce di morte sul suo profilo Facebook .
A Foggia per presentare “Chi troppo vuole”. Ma come si sviluppa il romanzo, l’ultimo di una trilogia che vede come protagonista il bandito Mazzacani?
«Ha un’ambientazione foggiana-tarantina e si apre con il ritrovamento di un cadavere di una giovane prostituta in una baraccopoli nella periferia di Foggia e di una fossa comune con altri resti che fanno pensare a un legame con le sparizioni per “lupara bianca” attribuite alla mafia garganica. Non è l’ultimo della serie però, perché da un paio di settimane ho iniziato a scrivere il quarto libro visto il successo editoriale dei precedenti. L’orientamento è la vendita dei diritti per farne una serie televisiva, inoltre i romanzi stanno uscendo in Danimarca con la casa editrice che ha pubblicato i libri di Camilleri».
I protagonisti sono Carlo Mazzacani e Teresa Buonamica: nomi immaginari ma che richiamano sin da subito le caratteristiche dei personaggi. È così?
«Senz’altro. Mazzacani è un cognome popolare al nord come al sud. Un cognome molto duro, aspro. Il bandito infatti ha una provenienza sociale bassa ed è figlio di una bracciante e di un pescatore. Il cognome della procuratrice Teresa Buonamica, vuole caratterizzare “una giustizia amichevole”. È un personaggio con una certa rigidità professionale tipica e giusta per un procuratore antimafia ma è anche una donna che cerca di instaurare con le persone con cui collabora dei rapporti di amicizia e non solo professionali».
Due figure diverse, due facce della stessa medaglia?
«È un gioco al contrasto, sono le due menti della serie, e in questo gioco al contrasto si compone un unico personaggio onnisciente da cui il lettore trae tutte le sfumature della verità e risoluzione del caso. Verità che nella serie si rivelano essere sempre due: una per lo Stato e una per il crimine».
Chi è Mazzacani, il protagonista di tutta la serie?
«Mazzacani è il bandito con una morale anti mafiosa, non tollera le regole dei mafiosi perché ritiene che le organizzazioni mafiose siano semplicemente finalizzate all’arricchimento personale. Lui è un cane sciolto che ha detto no all’affiliazione alla Sacra Corona Unita e per questo motivo ha pagato un altissimo prezzo: tutta la sua banda è stata massacrata, tranne un membro suo fedelissimo amico. Si scontra con pezzi deviati della giustizia e con importanti esponenti della criminalità organizzata italiana ed estera».
La sua antagonista è Teresa Buonamica: è lei che lo tira in ballo?
«Si, è lei che tira in ballo Mazzacani e lo usa per arrivare alla verità. Buonamica è il magistrato a capo di una super procura antimafia, la DRAP (Direzione Regionale Antimafia di Puglia). Una donna ligia alle regole dal volto umano, rappresentante dello Stato avversario delle mafie».
Dopo l’omicidio a Bari di un candidato foggiano alla carica di governatore regionale, Mazzacani comincia le sue indagini che lo porteranno a rivelare l’esistenza di interessi criminali che gravitano intorno al mondo della politica e del potere. Impossibile non parlare di Foggia e delle ultime vicende del Comune: c’è un intreccio tra criminalità, imprenditoria e politica?
«In questo momento preferisco non azzardare supposizioni, mi attengo ai fatti. Penso comunque che quello che sia accaduto da gennaio a oggi, dall’episodio di Iaccarino fino all’arresto del sindaco e allo scioglimento del Comune, in qualche misura racconta una condizione seria e pesante».
Quindi non si può ancora parlare di infiltrazioni mafiose al Comune di Foggia?
«Assolutamente no! Solo la magistratura può fare piena luce su queste vicende. Siamo solo all’inizio di una storia molto lunga, una narrazione storica per Foggia che sarà raccontata per generazioni. Una pagina nerissima quella che si è appena aperta. Foggia è chiamata a fare una scelta positiva per non soccombere. Cittadinanza, magistratura e politica devono lavorare in sinergia. La proposta di governo della città deve uscire dalla politica che deve farsi carico di una responsabilità delle esigenze sane e pulite della città, individuando delle figure che siano capaci di portarla fuori dal pantano.
Secondo te ci sono ancora persone come Marcone e Panunzio capaci di ribellarsi al sistema mafioso di questa città?
«Ma certamente! Io sono convinto che la gran parte della popolazione ha il coraggio per manifestare il proprio dissenso contro la mafia ma soprattutto per uccidere la mafia foggiana che è una forma corrotta di economia. È necessario che questa maggioranza faccia numero insieme, in democrazia lo si fa andando a votare per le persone giuste. Quando viene meno un’amministrazione, si crea un vuoto di democrazia colmato d’imperio dallo stato. I partiti sono chiamati a una grande responsabilità civile e democratica: fare pulizia al proprio interno e accompagnarsi assieme alla cittadinanza per far risorgere la città. Una resurrezione possibile».
Cinzia Rizzetti
(Articolo realizzato all’interno del laboratorio di giornalismo & scrittura creativa presso il “Centro Diurno Il Dono”, finanziato dall’Otto per Mille della Chiesa Valdese).