“Ciao fratello, come stai?”: buon viaggio Hardip, ti ricorderemo mentre ridi fragorosamente e ci fai “impazzire” con i tuoi discorsi

Nella serata di oggi, 22 giugno, ci sarà un momento di preghiera per Hardip: appuntamento alle 20,20 in stazione al primo binario tronco per Lucera. Nell’attesa di questo omaggio, ecco il saluto e il commosso ricordo di uno dei volontari che conosceva Hardip da anni.

Mio malgrado, mi ritrovo a dover scrivere in merito all’ennesima morte di un senza dimora.

Hardip l’Indiano. Hardip dalla risata fragorosa e dalla logorroica cordialità.

Un appuntamento quotidiano, per i Fratelli della Stazione. Hardip era sempre il primo della lista dei senza dimora da contattare e ai quali dare la piccola busta con acqua, biscotti e quant’altro era disponibile.

Hardip che pur nella sua condizione, aveva una dignità unica. Aveva anche una Fede molto marcata. Ricordo quello strampalato segno della croce, pur non essendo cristiano, che abbozzava quando si discuteva sulla speranza di un futuro migliore a Dio piacendo.

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Hardip era generoso come solo chi è stato provato dalla vita sa esserlo. Ricordo che in alcune notti, in pieno inverno, condivideva la sua misera coperta con un connazionale anch’egli senza fissa dimora.

Le coperte. Quante coperte abbiamo dato ad Hardip. Puntualmente le perdeva. Tante gliele rubavano. Si, rubavano. Per chi vive per strada e dorme in stazione piuttosto che su una panchina, la coperta è un bene prezioso.

Ricordo che ci raccontava sempre di sua madre. Delle telefonate che le faceva per accertarsi che stesse bene. Non so e non saprò mai se era vero ma mi piace crederlo.

Hardip che possedeva solo un orologio. Per misurare l’unica cosa che aveva in abbondanza: il tempo.

Quando lo incontravamo, lui esordiva salutando tutti e chiamandoci fratello o sorella. La prima frase era: Ciao fratello, come stai? Tutto bene?

E si. Lui chiedeva a noi se andasse tutto bene e se stessimo bene e in salute.

Hardip non amava la compagnia degli altri senza dimora. Lui era schivo e solitario. Ne aveva passate tante. E sapeva bene che spesso la gentilezza, la bontà e la solidarietà tra i senza fissa dimora, spesso è solo frutto di una narrazione non aderente alla realtà.

Ora Hardip non c’è più. Dopo un malore e un ricovero in ospedale seguito da una dimissione alquanto discutibile e da un nuovo ricovero sollecitato da i Fratelli della Stazione, è morto.

Non mi sembra vero. Ma è così.

Questo mio scritto vuole essere solo un ricordo di Hardip. Un omaggio a una persona meravigliosa. Sempre sorridente. Una persona che è morta a migliaia di kilometri dal suo paese. Una persona che ci ha dato tanto. Ci ha insegnato a sorridere dei nostri piccoli, quotidiani problemi che diventano ancora più piccoli ed insignificanti di fronte ai problemi veri. I problemi di Hardip e di tutti quelli come lui.

Non è questo il tempo delle polemiche. Questi sono i giorni del ricordo. Del dolore e del rimpianto per tutto quello che si sarebbe potuto fare in più e che forse non si è fatto.

Ma stiano tranquilli tutti coloro che con il loro fare o meglio con il loro non fare, hanno avuto un ruolo nella scomparsa di Hardip.

Qualcuno dovrà spiegare perché Hardip non c’è più. Qualcuno dovrà spiegare se si è fatto tutto quello che si poteva e si doveva fare per salvargli la vita.

La morte di Hardip è l’ennesimo macigno, dopo la morte di Giovanna, di Marian e di tutti gli altri senza dimora, morti negli ultimi anni, sulle coscienze di tutti coloro che si sono macchiati del peccato dell’indifferenza. Sulle coscienze di chi ha volutamente negato la dignità, anche nella malattia, di essere umano a coloro che, non per scelta, vivono la condizione di ultimi, di invisibili.

Ciao Hardip. Vogliamo ricordarti così. Mentre ridi fragorosamente e ci fai impazzire con i tuoi discorsi incomprensibili e strampalati. Ma sempre allegri.

Ruggiero Di Cuonzo

(Articolo realizzato all’interno del laboratorio di giornalismo & scrittura creativa presso il “Centro Diurno Il Dono”, finanziato dall’Otto per Mille della Chiesa Valdese).