Quel corpo del migrante morto in mare che nessuno vuole seppellire. Che fine hanno fatto pietà e compassione? – pensieri senza dimora

di Ruggiero Di Cuonzo

Nonostante quattro avvistamenti e quattro allarmi lanciati dall’aereo della organizzazione non governativa tedesca Seabird, il corpo di un migrante, sorretto dai resti di un gommone, è ancora in mare da più di quindici giorni. Probabilmente è una vittima dei naufragi avvenuti alla fine di giugno al largo della costa libica. La Guardia Costiera libica, quella maltese e quella italiana non hanno, ancora, ritenuto opportuno recuperare quel corpo per dargli una necessaria e dignitosa sepoltura. Ora mi chiedo e vi chiedo: quel sentimento di pietà e di rispetto verso la morte, che dovrebbe essere comune ai credenti ed ai non credenti, che fine ha fatto? La “compassione” cristiana o  “l’etica” Illuminista, in quale cruenta battaglia, tra gli egoismi e la necessaria e naturale pietà verso il prossimo, hanno ceduto il passo alla colpevole indifferenza verso tutto ciò che non ci tocca negli affetti più vicini?

Già l’uomo di Neanderthal seppelliva i propri simili, riconoscendo così al corpo una sacralità e una dignità da rispettare ed onorare. Nell’antichità, anche nei periodi più bui della storia dell’uomo, dopo qualsiasi battaglia veniva data la possibilità ai vinti, di poter raccogliere i propri caduti per dar loro una degna sepoltura. Mi auguro che questo corpo venga recuperato al più presto e che gli venga data una degna sepoltura. Mi auguro, e lo auguro a tutto il genere umano, che non si travalichi mai questa linea di demarcazione tra l’essere Uomini, con un anima, per chi crede, e una morale naturale per gli atei e la bestialità.

La sconfinata pietà per tutti gli esseri viventi è la più salda garanzia del buon comportamento morale e non ha bisogno di alcuna casistica. Chi ne è compreso non offenderà certo nessuno, non danneggerà nessuno, non farà del male a nessuno, avrà invece indulgenza con tutti, perdonerà, aiuterà, fin dove può, e tutte le sue azioni recheranno l’impronta della giustizia e della filantropia. […] io non conosco nessuna preghiera più bella di quella che conchiudeva gli antichi spettacoli teatrali dell’India (come anche in altri tempi quelli inglesi terminavano con la preghiera per il re). Dice: «Possano tutti gli esseri viventi restare liberi dal dolore!» —  Arthur Schopenhauer.