La vergogna di Lipa , un “game” in cui a perdere sono i diritti umani. Intervista a Daniele Bombardi, operatore di Caritas italiana

Scene al limite dell’umano quelle che abbiamo visto (poco in realtà nei nostri media) questo inverno a Lipa, in Bosnia e Erzegovina: 1500 migranti lasciati al freddo e al gelo l’antivigilia di Natale dopo che il campo profughi era andato a fuoco. La punta di un iceberg di una questione mai risolta, quella migratoria. Ne ha parlato in una diretta Facebook Daniele Bombardi, operatore della Caritas italiana, in Bosnia da vari anni, a cui anche la redazione di Foglio di Via ha posto delle domande.

Spesso sentiamo parlare di Rotta Balcanica dei migranti: cosa si intende esattamente e quali Paesi coinvolge?

«Nel 2015-2016 c’era un unico grande percorso che tutti seguivano, dalla Turchia alla Grecia e poi via terra Macedonia, Serbia ed Ungheria, meccanismo funzionale ed ordinato gestito dagli Stati. Tutto è cambiato dalla primavera 2016 quando l’Ungheria ha chiuso il confine con un muro di filo spinato. Allora i profughi hanno iniziato a dirigersi verso la Croazia ma da quel momento è più corretto parlare di rotte perché non esiste più un sistema organizzato, ognuno prova a capire quale confine è più percorribile per arrivare nell’Unione Europea».

L’Europa sta delegando il problema allontanandolo anche fisicamente?

«Unica politica sull’immigrazione è l’esternalizzazione delle frontiere: si è pronti ad elargire grosse somme pur di mantenere a distanza i migranti. Lo vediamo con la Libia, con la Turchia ed ora anche con la Bosnia. Questo meccanismo voluto dall’Unione porta a degli imbuti, enormi assembramenti di persone in Paesi che spesso si trovano a gestire un numero spropositato. E poi ci sarebbe la questione dei diritti umani: spesso la polizia (sia ungherese sia croata; ndr) usa metodi che vanno oltre il loro diritto: non viene permessa la richiesta di asilo, i migranti vengono malmenati, spesso vengono sottratti soldi e cellulare che sono i mezzi per il “game”, per oltrepassare le frontiere».


Perché si chiama “game”?

«Si chiama così perché viene provato più volte, è difficile riuscire ai primi tentativi (alcuni sono stati respinti fino a 30 volte; ndr). Credo che sia anche un modo di sdrammatizzare qualcosa di pericoloso e di umiliante: consideriamo che prima di essere respinti dall’Unione Europea hanno subito vari traumi, da quello della partenza dai loro Stati d’origine passando per i vari campi profughi».


In cosa consiste concretamente?

«Dipende soprattutto dalla disponibilità economica: chi è più povero prova a piedi, da solo, con il supporto del cellulare per orientarsi tra i sentieri delle montagne, ma tra i vari pericoli c’è quello di imbattersi nelle mine degli anni ‘90, non ancora tolte. Altri provano l’attraversamento pagando delle guide che conoscono i luoghi, gente del posto o migranti che hanno già esperienza: essere in gruppo da maggiori possibilità perché, nel caso arrivi la polizia, provano a scappare in direzioni diverse. Chi ha maggiore disponibilità economica prova il cosiddetto taxi-game, pagando qualcuno che ha il mezzo per accompagnare vicinissimo alla frontiera».

Come vive la gente bosniaca la presenza ingente di migranti?

«Nel 2018, primo periodo di arrivo dei migranti, la solidarietà dei bosniaci è stata notevole, memori anche delle difficoltà di essere profughi, che molti di loro hanno provato vent’anni fa: offrivano passaggi in macchina, ospitalità per fare la doccia e rifocillare i più deboli. Poi il persistere della debolezza dello Stato, incapace di organizzare un sistema di accoglienza, unito al crescere degli arrivi, ha portato maggiore insofferenza nella popolazione».


A Lipa cosa è successo dal 23 dicembre scorso? Come siamo arrivati a calpestare a tal punto i diritti umani in Europa?

«Partiamo col dire che Lipa è un altopiano disabitato, nel nulla praticamente, in cui sono state poste delle tensostrutture per far trascorrere i 14 giorni di isolamento ai nuovi arrivati, ma poi in realtà si stava trasformando in un campo profughi senza acqua ed elettricità. Con l’avvicinarsi dell’inverno era impensabile far rimanere lì tutta la gente e allora, dopo un braccio di ferro, il campo è stato bruciato sperando che il Governo bosniaco finalmente trovasse una soluzione. A quel punto è successo l’incredibile: 1500 persone a vivere all’aperto tra la neve a –15 gradi, scaldandosi con incerate avanzate o legna, scene indescrivibili. Mai ho visto una tale carenza di dignità verso la vita umana».
Andrea La Porta

L’articolo è stato pubblicato nel numero Marzo-Aprile 2021 del giornale di strada Foglio di Via sostenuto da Fondazione Vodafone Italia.