La visibilità dei poveri ha il nome di una strada invisibile. A Foggia è ‘Via della Casa Comunale’

Peppino era invisibile. Lo era per tutti. Anche se aveva un nome, una storia, una sua personalità. Ma era invisibile. Per gli occhi della gente e per la burocrazia italiana. Viveva, respirava, mangiava, qualche volta sognava pure, aveva anche lavorato in passato, ma per lo Stato italiano non esisteva. Non aveva diritto a nulla. Perché era un senza dimora, una persona finita per i motivi più diversi nel limbo dell’anonimato, privato del requisito della residenza anagrafica che ti può restituire un brandello di dignità e l’accesso ai diritti più elementari. Come nel caso di Dora, più conosciuta a Foggia con il nome di Pallina. La conoscevano tutti. Tutti sapevano chi era, come si chiamava, come viveva, ma per lo Stato italiano neanche lei esisteva. Era una senza dimora. Ma Dora aveva bisogno di un medico di base, di qualcuno che tenesse sotto osservazione la sua salute in modo continuo. E così, anche lei come Peppino ha fatto richiesta all’Ufficio Anagrafe del Comune di Foggia per tornare ad essere visibile. Per ottenere la carta di identità, per riacquistare tutti quei diritti smarriti negli anni della povertà, dell’invisibilità più cocente: il diritto al voto, alle cure sanitarie, alla casa, alle misure di contrasto alla povertà.

Peppino e Dora adesso, pur continuando ad essere dei senza dimora, hanno la carta d’identità. Ed il loro indirizzo, comune a quello degli altri senza dimora che vivono nella città di Foggia, è Via della Casa Comunale. Cambia solo il numero civico, che muta seguendo una progressione di numeri dispari che varia in base alle residenze anagrafiche fittizie rilasciate dal Comune di corso Garibaldi. Peppino è riuscito ad ottenere, fra le altre cose, la pensione sociale che inseguiva da tempo, passando da una condizione di povertà assoluta ad un minimo di reddito; Dora, invece, ha potuto avere il suo medico di base ed anche per lei la stagione dei diritti inizia a sfoderare nuovi sorrisi. Perché la residenza anagrafica fittizia può salvarti la vita. Fu istituita a Foggia nel 2009 (diventando attuativa solo nel 2010) dopo una lunga battaglia portata avanti proprio dal giornale di strada “Foglio di Via” e dallo sportello di Avvocato di Strada ed il primo beneficiario, il cui nome era Corrado Rizzi, grazie a quella Carta di Identità intascata riuscì ad essere accolto in una residenza per anziani. Da invisibile tornò ad essere visibile. Ed è questo il destino di molti senza dimora, che vivano a Foggia o in altre città italiane.

«I senza tetto che hanno dimora abituale nel Comune hanno diritto ad ottenere la residenza presso una via fittizia istituita ad hoc dall’amministrazione comunale» appunta il rapporto “Senza tetto. Non senza diritti” di Avvocato di Strada. A Bologna, per esempio, questa via si chiama Via Mariano Tuccella, a Roma Via Modesta Valenti, a Napoli Via Alfredo Renzi e così via. Di conseguenza, «la residenza anagrafica nella “via fittizia”, si rivela uno strumento imprescindibile per la tutela delle persone senza dimora. Queste persone, infatti, pur non avendo una casa e dunque un indirizzo presso cui richiedere l’iscrizione anagrafica, possono ottenere la residenza nel Comune ove vivono semplicemente dichiarando il proprio domicilio». Per questo, per una persona senza dimora diventa importante – per non dire essenziale – trovare un domicilio presso un amico o un’associazione da poter dichiarare presso l’ufficio Anagrafe del Comune. Per questo, allora, le parole di papa Francesco diventano un monito verso tutte quelle Amministrazioni Comunali ed istituzioni (pubbliche ed ecclesiastiche) che ancora latitano nel mettersi a disposizione dei più poveri.

«Desidero porgere il mio sentito ringraziamento al Comune e alla Diocesi di San Severo in Puglia per la firma del protocollo d’intesa che permetterà ai braccianti dei cosiddetti “ghetti della Capitanata”, nel foggiano, di ottenere una domiciliazione presso le parrocchie e l’iscrizione all’anagrafe comunale» ha detto il Papa, al termine dell’Angelus del 3 novembre scorso. «La possibilità di avere i documenti d’identità e di residenza offrirà loro nuova dignità e consentirà di uscire da una condizione di irregolarità e sfruttamento». Parole, quelle del pontefice, che però non hanno raggiunto un livello di apprezzamento condiviso, unanime. Anzi. Parole condannate da molti, soprattutto sui social, criticate da quelli che probabilmente neanche sanno cosa vuol dire ottenere una residenza anagrafica fittizia, cosa significa riacquistare la visibilità e la dignità perduta, che si tratti di cittadini italiani o di migranti. Perché diritti e dignità non possono avere differenze di alcun genere. Non alle porte del 2020. Non in un Paese che si presenta al mondo come una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Ma di pochi.
Emiliano Moccia