Il coraggio della normalità di Hiso che ha detto «no» ai caporali. Il coraggio della generosità di Willy che ha detto «no» ai violenti

Hyso Telharaj aveva solo 22 anni quando è stato ucciso dai caporali. Era l’8 settembre del 1999. Era venuto in Italia dall’Albania per cercare lavoro e lo aveva trovato come bracciante agricolo nella zona tra Foggia e Cerignola. Il suo obiettivo era inviare un aiuto economico alla sua famiglia e mettere da parte una piccola cifra per riprendere a studiare: questa sua volontà forte lo sostenne nel dire «no» alle richieste dei caporali. Ma il suo no rappresentava un segno pericoloso per gli altri braccianti e nel corso di un’aggressione, messa in atto per “dargli una lezione”, Hyso fu ucciso. Il suo nome è diventato un simbolo di riscatto e di rinascita, creando un ponte tra Italia e Albania. Per ricordare Hiso e tutte le vittime innocenti di mafia, Vivi – Libera Memoria raccoglie e condivide le loro storie.

Perché quella di Hiso è una storia da non dimenticare, di un ragazzo arrivato in Italia con il sogno di studiare e di costruirsi un futuro migliore. «Parte insieme a suo cugino 17enne Simon Tragaj – ricorda il portale Vivi – Libera Memoria – .  Arrivano in Puglia dove iniziano a lavorare alla raccolta dei pomodori tra Cerignola e Borgo Incoronata. Hyso vuole mettere da parte i soldi per iscriversi a scuola e studiare da geometra. Ma Hyso, sempre gentile con tutti, sempre allegro, non sa che la vita dei braccianti agricoli pugliesi è scandita da regole ferree, che non si può sfuggire a un sistema di controllo quale il caporalato, che non è libero di scegliere per sé. Si rifiuta di cedere ai ricatti dei caporali e si rifiuta di consegnare parte dei suoi guadagni. Non si rende conto del pericolo, quasi sicuramente non sa che il suo gesto è un atto di ribellione e che non può passare il messaggio che qualcuno contesti chi comanda».

La sera dell’8 settembre 1999, il ragazzo viene avvisato «che le persone a cui si è opposto stanno venendo a cercarlo nel casolare in cui vive nelle campagne vicino a Borgo Incoronata. Qualcuno gli suggerisce di fuggire, ma lui non lo fa. A bordo di una Croma guidata da Addolorato Pompeo Todisco, un imprenditore agricolo di Orta Nova, arrivano altre quattro persone armate, tre uomini albanesi e una donna polacca. La donna e Todisco restano in auto, i tre connazionali di Hyso entrano nel casolare. Hyso e Simon vengono picchiati. Partono nove colpi di arma da fuoco. Simon viene gambizzato. Hyso muore la sera stessa a causa delle ferite riportate».

Hiso è morto per non aver mai ceduto al ricatto dei caporali. Non ha chinato la testa, non si è piegato. La sua storia, in questa giornata, può richiamare alla mente la vicenda del giovane Willy Monteiro, il 21enne di origini capoverdiane picchiato a morte da quattro persone, quattro picchiatori violenti e con precedenti penali, nella notte a Colleferro, vicino Roma, dopo essere intervenuto per placare una rissa scoppiata per futili motivi ed aiutare un suo compagno di scuola. Anche in questo caso Willy non si è voltato dall’altra parte ed ha fatto la cosa più naturale: prendere posizione, non restare indifferente. Hiso e Willy sono due giovani che hanno pagato con la vita il coraggio della normalità, il fare per gli altri e per se stessi la cosa più giusta. Due vite da prendere come esempio, oggi come ieri. Lo dobbiamo ai due giovani morti troppo presto e alle loro famiglie, e probabilmente con un pizzico di egoismo lo dobbiamo anche a noi stessi. Perché se vogliamo che il mondo migliori e cambi allora dobbiamo avere lo stesso coraggio, la stessa forza, la stessa generosità che hanno avuto i due ragazzi. Hiso e Willy.
Emiliano Moccia