“Un’altra vita” è possibile per le donne vittime di violenza. Ma occorre sradicare la questione culturale

di Iole Cocco

«Ci vorrebbe un’altra vita per comprendere ogni cosa prima che sia già passata fra le mani» scrive Fabrizio Moro nel suo testo musicale “Un’altra vita”, una descrizione accurata che anticipa il tema della violenza sulle donne trattato in diretta sulla pagina facebook del Centro Antiviolenza dell’Ambito Territoriale di Cerignola “Titina Cioffi”, in occasione del convegno intitolato proprio come l’omonimo il testo di Moro: “Un’altra vita”

Aumenta la violenza psicologica
«Se si pensa che la violenza sulle donne sia un problema individuale ci si sbaglia – afferma Francesca Cafarella referente del CAV –  è un fatto pubblico, una piaga sociale». Eppure, circa il 70% delle donne che denunciano sono sole; si rivolgono spontaneamente ai centri antiviolenza, ma solo dopo essere passate per l’ospedale e aver denunciato. I fatti che si fanno si sanno eppure nessuno parla, nessuno vede e nessuno si impiccia quando c’è di mezzo un uomo violento. Una società maschilista certamente non aiuta e di sicuro neanche l’omertà. «Nel 2020 si sono registrati 2350 nuovi accessi in Puglia, più del 15% rispetto all’anno precedente e più del 30% rispetto ai due anni precedenti – puntualizza Giulia Sannolla, referente della Regione Puglia della rete antiviolenza – con un incremento della violenza psicologica evidenziata durante i mesi del lockdown». Stare in casa ha peggiorato le situazioni di violenza, ma ha aiutato le donne a prendere una maggiore consapevolezza. Gli abusi psicologici non sono facili da denotare come le perturbazioni fisiche, è questo il motivo per cui spesso le donne non denunciano.

Una questione culturale
«Noi donne siamo abituate a sentirci in colpa, è un fatto culturale – dice Adriana Sabato commissario straordinario del Comune di Cerignola –  per quanto le donne siano ampiamente tutelate dalla legge, tuttavia questa a volte non le mette a riparo dalla violenza. È un fenomeno che è difficile da sradicale poiché è ovvio che ha radici ben più profonde, radicate nella società». Come darle torto, anche perché «proveniamo da una cultura che legittimava la violenza – racconta Giovanni Ippolito psicologo della Questura di Foggia – . Ricordiamo la presenza del cosiddetto matrimonio riparatore che permetteva allo stupratore di non scontare la pena in carcera nel caso in cui avesse sposato la donna, anche minore, incinta dello stupro. È difficile uscire da questa cultura maschilista». È qui, che entra in gioco il ruolo della consapevolezza, riconoscere atteggiamenti tossici nei propri partner può portare ad evitare gli episodi di violenza. Giovanni Ippolito individua alcuni segnali pericolosi: violenza in pubblico, violenza sui bambini, abusi fisici, abuso di sostanze, minacce di suicidio, allontanamento dalla famiglia e dagli amici. L’uomo cerca di eliminare la rete di contatti della donna, eliminando i suoi affetti e la sua indipendenza in modo tale da poter esercitare un maggiore potere su di lei.

La mancanza di autonomia economica
«L’assenza di autonomia economica delle donne è il principale impedimento, non avere soldi equivale a non poter permettersi una casa. Il 45% delle donne che si rivolge al centro non ha un lavoro e nel 18% dei casi ha un lavoro precario. Le province di Foggia e Bat sono le province dove le donne sono meno autonome economicamente rispetto ad altre province – riporta Giulia Sannolla – . Dal 2014 al 2019, 10mila donne si sono rivolte ai centri antiviolenza pugliesi». Nel CAV Titina Cioffi, che prende il nome dell’omonima donna vittima di femminicidio «dal 2016 ad oggi ci sono stati 200 accessi, 500 contatti telefonici numero verde, 62 prese in carico,9 donne case rifugio e 20 donne accesso a corsi di formazioni professionale» evidenzia Cafarella. «Nell’intera regione Puglia invece nel 2020 sono state messe in protezione 113 donne, nel 2019 ne erano state 70.  Di queste donne, 35 con 20 figli sono state accolte nelle case di seconda accoglienza. Ce ne sono 7 nella Regione Puglia e 7 sono le case di prima accoglienza. 27 i centri antiviolenza che attraverso le convenzioni come nel caso del CAV di Cerignola dove sono presenti in 43 abiti territoriale in un totale di 45» riporta minuziosamente Sannolla.

Rafforzare i servizi
Nonostante il buon lavoro sul territorio, non si finisce di fissare nuovi obiettivi strategici: come raccontato da Giulia Sannolla, la Regione Puglia mira a rafforzare sempre di più le iniziative di sensibilizzazione, informazione e formazione per le donne, in modo tale che queste non si sentano sole e non smettano mai di denunciare le violenze subite. Migliorare il rafforzamento dei servizi e delle strutture è alla base degli obiettivi. Il riutilizzo dei beni confiscati alla mafia necessita di una maggiore attenzione da parte delle Regione Puglia, in quanto questi potrebbero essere impiegate come case di accoglienza per donne e minori. Le case di accoglienza a volte risultano piene, e questo non aiuta il percorso d’indipendenza delle donne.

Il corso “Tecnico di Cucina”
Per questo la Regione ha intenzione di potenziare i percorsi di autonomia e indipendenza economica, come già successo con il progetto “Tecnico di Cucina” che ha come destinatarie donne vittime di violenza che al termine percorso di formazione teorica e pratica riceveranno un attestato di qualifica spendibile nel mercato del lavoro. L’iniziativa è promossa dall’Ambito Territoriale di Cerignola in ATS (Associazione Temporanea di Scopo) con Medtraining di Oltre / la rete di imprese, Centro di Formazione ed Orientamento Professionale “Padre Pio”, cooperativa Ferrante Aporti, ed è finanziata tramite l’Avviso Pubblico Discrimination Free Puglia, con cui la Regione Puglia punta alla realizzazione di interventi di contrasto alle discriminazioni di ogni tipo.