La giornata tipo di un senza dimora. Prigioniero della routine e della solitudine

Questo articolo è stato pubblicato nel numero gennaio-febbraio 2020 del giornale “Foglio di Via”

La notte scorre lenta al dormitorio allestito nella parrocchia di Sant’Alonso de’ Liguori. Siamo in tanti qui a dormire, una trentina. Italiani e stranieri, quasi tutti adulti, ogni tanto ci sono anche dei ragazzi. La mattina dopo aver fatto colazione ci incamminiamo sul pullman che porta agli Ospedali Riuniti di Foggia, perché d’inverno la mattina fa freddo ed allora giriamo per un’oretta a bordo del mezzo per ripararci dal freddo. Poi, dopo essere arrivato al capolinea, l’autobus riprende la sua corsa ed arriva al Terminal della stazione. Scendiamo dal mezzo e troviamo riparo in sala d’attesa del Terminal sempre per riscaldarci, per passare un po’ di tempo, almeno un paio di ore. Poi inizia la via Crucis: facciamo avanti e indietro lungo il viale della stazione, aspettando l’orario della mensa della chiesa Immacolata. Ti crei delle piccole tappe, dei piccoli appuntamenti quotidiani. Alla mensa non solo si mangia, si vive anche un momento di socializzazione, perché è un momento in cui non si è da soli, anche se i ragionamenti sono sempre gli stessi: vorrei trovare casa, vorrei lavorare, vorrei stare in famiglia. Anche all’interno dei sena dimora si creano dei gruppi di amicizia più stretti. La mensa è uno di quei momenti in cui si creano due situazioni che mettono in risalto la condizione umana: quella delle piccole forme di egoismo, di chi vuole prendersi il piatto in più o ti vuole superare nella fila; quella della solidarietà, di chi ti offre il suo panino, di slanci di sostegno ed altruismo verso le persone più fragili o anziane.

Dopo il pranzo, a mezzogiorno, riprende la domanda: dove vado? cosa faccio adesso? Una delle mete preferite è l’Ipercoop, perché si sta al caldo di inverno e al fresco d’estate e c’è la possibilità di utilizzare i bagni. Un grande disagio per i senza dimora di Foggia è il non poter avere un luogo in cui potersi fermare un attimo a riflettere, a pensare, anche solo per informarsi su quello che accade nel mondo attraverso la lettura di un giornale o la televisione. Siamo come in prigione. Una prigione senza confini, ma comunque prigionieri della routine, dei gesti sempre uguali, della solitudine, dell’emarginazione, un po’ come canta Fabrizio De Andrè nella Buona Novella. Perché anche alla mensa, all’Ipercoop, al dormitorio, c’è sempre gente e non hai mai un momento tutto tuo, da vivere solo con te stesso, da non dover condividere per forza con qualcuno. Quel che tempo che intercorre tra il pranzo e la cena sono ore in cui la tua unica meta è quella di andare a cenare.

Provi a crearti degli step, non avendo altri interessi o non potendo fare altro, vivi solo in funzione di andare alla cena e poi in stazione. E’ uno degli step della giornata, l’attesa dei volontari che portano latte caldo e biscotti. E’ importante vederli perché hai modo di parlare, di confrontarti con altre persone, con persone che ti stanno ad ascoltare, che ti rendono importante, che ti fanno sentire di nuovo una persona, che ti incoraggiano, e ti senti di nuovo parte della società. Quando vai al dormitorio, ti butti sotto la doccia che ti serve non solo per mantenerti pulito, ma anche per scrollarti di dosso tutte le ore passate per strada a girovagare con i pensieri. Nel letto cerchi di dormire, anche se hai sempre un pensiero che ti buca il cervello: perché la notte già lo sai che il giorno dopo sarà la stessa cosa, la stessa giornata, lo stesso senso di vuoto e di nessuna prospettiva per il futuro.
Domenico Lunare
Ruggiero Di Conza